ORGOGLIO SENZA PREGIUDIZIO
Come Padova Pride, crediamo nell’orgoglio: di essere ciò che siamo, di essere parte della comunità LGBTQIA+. Respingiamo con forza ogni tentativo di nascondere o attenuare la nostra visibilità di persone LGBTQIA+, che è alla base della nostra lotta politica. Il Pride è un inno alla visibilità e una mano tesa, un incoraggiamento per chi ancora non può o non sa essere sé stess* alla luce del sole.
Detestiamo il pregiudizio, tra le più solide forme di discriminazione. Vogliamo insegnare, contro gli standard di questa società basata sul solo modello cis-eterosessuale, che il carattere e la personalità di un individuo non sono conseguenze dirette del suo orientamento sessuale o del suo genere.
L’orgoglio di essere chi siamo si manifesta anche nel promuovere atteggiamenti di accettazione, rispetto e apprezzamento del proprio corpo e delle proprie passioni, anche negli ambiti socialmente considerati più intimi o persino tabù. Puntiamo, quindi, a ridurre il pudore legato a temi della nostra comunità, pudore inteso come internalizzazione di codici etici ormai antiquati che impediscono di vivere a pieno titolo la propria identità.
Rifiutiamo il body shaming, comportamento discriminatorio che stigmatizza i corpi non conformi agli standard estetici vigenti instillando sensi di colpa, ad esempio, per essere sovrappeso o per aver lasciato crescere i propri peli. Noi invece affermiamo che non è giusto provare vergogna per qualsivoglia caratteristica fisica; se poi quell’aspetto del proprio corpo è apprezzato dalla persona, meglio ancora.
La libertà di esprimersi sta anche nei comportamenti di carattere sessuale, tra individui adulti e consenzienti. Troviamo che non ci sia nulla di vergognoso nelle attività kinky e BDSM: semmai troviamo vergognoso parlare in modo denigratorio degli interessi sessuali o non sessualmente normati di una persona, atto noto come kink shaming; è fondamentale ridurre il pregiudizio che circonda queste pratiche. Allo stesso tempo, non c’è nulla di vergognoso – né di patologico – nell’avere un atteggiamento neutrale nei confronti del sesso, o nel preferire non avere alcun rapporto sessuale. Anche questo fa parte della nostra identità, e si rifà alle differenze individuali, non a differenze di genere come lo stereotipo fa spesso intendere.
Combattiamo il concetto di cis-eteronormatività. L’eterosessualità non va assunta come caratteristica universale, ma come uno dei tanti orientamenti sessuali possibili. Similmente, intendendo con cisgender una persona che si identifica con il genere che le è stato assegnato alla nascita, invitiamo a non assumere che tutte le persone siano cis. L’interpretazione di situazioni generali in chiave costantemente eterosessuale e cisgender è oppressiva e deve finire. Inoltre, l’omosessualità non va assunta come unica alternativa all’eterosessualità: le persone attratte da più di un genere (bisessuali, pansessuali, ed altre ancora) esistono, non sono indecise, ma anzi scardinano il binarismo dei desideri che, come quello di genere, è duro a morire.
Il binarismo di genere porta avanti l’idea che esistano solo due generi (uomo/donna) i quali possono muoversi soltanto entro degli standard ben precisi di mascolinità e femminilità; questo concetto cancella l’esistenza delle persone non-binarie e, logicamente, impedisce il raggiungimento di una vera parità tra generi.
Noi crediamo nella libertà di ogni persona di adottare l’espressione di genere preferita, sia essa lontana o vicina da quelli che sono questi standard etero-cisnormati, e di esprimere con fierezza il proprio genere, sia esso concorde o discorde da quello assegnato alla nascita. Diamo impulso ad una conoscenza più approfondita delle nostre tematiche, in modo tale da contrastare il pregiudizio. Il genere è un fenomeno estremamente complesso, che tiene conto tanto di fattori interni quanto esterni alla persona, e non ha nulla a che vedere con i genitali o con qualsiasi altra caratteristica sessuale.
Da transfemminist*, repelliamo l’ideologia T.E.R.F. (un femminismo radicale che esclude le donne trans, considerandole uomini), che oltre ad essere eticamente inaccettabile va contro la stessa logica del femminismo. Se il genere è un costrutto sociale, non ha alcun senso escludere dal movimento femminista le persone transgender che oltretutto, essendo tra le prime vittime dei ruoli di genere, meritano il supporto che i femminismi terf vogliono negargli.
Intendiamo poi rassicurare quegli uomini (e donne) che si sentono vittime di un complotto politico atto a “ribaltare” i ruoli di genere. Il nostro obiettivo è combattere il privilegio, non rovesciarlo: tentiamo di formare una società in cui tutt* possano avere gli stessi diritti e le stesse opportunità, la libertà di agire e di ottenere dei risultati senza vantaggi di classe, di genere o etnici.
Coerentemente, ripudiamo i comportamenti machisti, esibizioni arroganti di virilità fondate su una sessista ed antiquata idea di superiorità psicofisica del maschio rispetto alla femmina (in un’ottica binaria). Il machismo lede la libertà non solo delle donne e di persone non binarie di avere pari opportunità, ma anche quella degli uomini di vivere la propria identità in una maniera più o meno lontana dagli standard di mascolinità della nostra società.
Proprio per questo, il MRA (Men’s Right Activism) non è soltanto inutile, ma persino dannoso: è un tipo di attivismo decisamente esclusivo che, rovesciando i principi transfemministi, va contro i precetti libertari su cui si dovrebbe basare una realtà veramente moderna e civile. La mascolinità tossica, dichiarata inesistente da alcun* attivist* maschilist* e alimentata dai comportamenti machisti, ha come standard un uomo forte, non emotivo e sessualmente predominante; si manifesta con atti di bullismo nei confronti dei maschi che non si conformano a quello standard, con molestie e strumentalizzazione del corpo femminile, con il mansplaining. Abbattiamo la mascolinità tossica per il bene di tutt*, in quanto tutt* possiamo esserne vittime: donne, persone non binarie, e uomini.
Per poter raggiungere veramente una parità tra i generi, sosteniamo lo studio e l’adozione di un linguaggio più inclusivo, che tenga conto tanto dell’ingiustizia di avere il maschile come genere prediletto nella grammatica quanto di quelle persone che, non riconoscendosi nel binarismo di genere, in italiano faticano a trovare pronomi adatti alla propria identità.
Chiediamo un mondo aperto e non ostile verso tutte le nostre soggettività, e chiediamo spazi sicuri quando e dove questo non sia ancora possibile. Abbiamo bisogno di alleat* e capiamo l’utilità degli spazi “friendly”: è bello poter programmare una vacanza con la certezza che l’hotel o il locale non si mostreranno omo-bi-transfobici, è positivo che esistano esercenti o aziende che desiderano essere accoglienti.
Con coscienza critica osserviamo anche l’altro lato della medaglia: il Rainbow Washing, vale a dire quella pratica per cui un’azienda o uno Stato decidono di sposare in modo strumentale la causa LGBTQIA+ allo scopo di posizionarsi in modo favorevole verso il proprio target di mercato o elettorale. Questo tipo di fenomeni hanno una matrice radicalmente capitalista che si confà perfettamente alle logiche del profitto.
Nel concreto molte grandi aziende multinazionali investono nei Pride o in altre iniziative “friendly” soltanto nei Paesi ove le questioni LGBTQIA+ sono sdoganate, mentre rimangono silenziose in quei Paesi dove prendere posizione a favore della nostra comunità sarebbe dannoso in termini di immagine e di vendite dei loro prodotti. In alcuni Stati, come ad esempio il Brasile o Israele, esistono leggi molto avanzate in merito ad alcuni diritti civili delle persone LGBTQIA+, mentre di fatto nel Paese c’è un alto livello di violenza omo-bi-transfobica a cui lo Stato stesso non pone un freno.
Chiediamo che le politiche inclusive messe in atto da aziende, enti e Stati siano sia formali che sostanziali. Chiediamo con orgoglio che enti e persone non si limitino a prendere atto delle nostre soggettività con liberale accettazione, ma provino a comprenderle.
Perché solo così le nostre conquiste possono essere sostanziali e rimanere stabili nel tempo. Perché solo così un po’ della nostra soggettività potrà contagiare il resto della società, contribuendo ad abbattere quella norma sessuale omologante e stereotipica che opprime tutta la società.