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No, tu non puoi!

No, tu non puoi!

Denunciare violenze, curarti, cercare lavoro…

 

Sì, anche questo articolo inizia con una constatazione amara e arrabbiata.

Ma se non ci fossero problemi di discriminazione, non esisterebbe la Rassegna Antiabilista.

 

E il giorno in cui non esisterà più saremo lɜ primɜ ad esultare…

 

 

Ma non è questo il giorno! ⚔️

 

Oggi -e per ancora un po’ di tempo- combattiamo perché tuttɜ possano avere i diritti di base.

 

Perché in Italia, se sei una persona sorda, resti indietro.

 

Ne parliamo con Marta Fusaro e Valentina Bonacci, le ospiti di questa Rassegna Antiabilista.

 

Entrambe sono (persone socializzare come) donne sorde, e in questo contesto non è un dettaglio trascurabile: essere donne e disabili, in Italia, significa ancora di più non avere accesso a servizi e diritti basilari.

 

Questa volta suddividiamo le risposte dell’intervista di Grazia in tre sezioni, perché vogliamo sia chiaro cosa intendiamo con “servizi e diritti di base”: sanità, giustizia, lavoro.

 

 

Sanità

 

Marta è una persona oralista segnante, ovvero ha un impianto cocleare e comunica sia parlando, sia utilizzando la lingua dei segni (LIS).

 

Quindi tutto bene, sente perfettamente, è autonoma, non ha bisogno di aiuto!

Eh, no.

 

Quando ha avuto bisogno di una visita ginecologica, mancavano completamente gli strumenti adeguati. Il ginecologo, fortunatamente e contrariamente ad altre visite che ha dovuto affrontare, era gentile: comprendendo le difficoltà di Marta, si è organizzato per darle modo di leggere il labiale durante la visita.

 

Ma non ci si può affidare a gentilezza e fortuna.

 

Anche perché esistono almeno due strumenti di cui può avvalersi il sistema sanitario per essere accessibile anche alle persone sorde:

  • VISIT: un portale pensato apposta per la comunicazione tra personale medico e pazienti sordi… Spesso assente, perché manca il tablet.
  • Interprete LIS:… Sempre Soprattutto se, come nel caso di Marta, non si viene riconosciute come persone sorde, come se l’impianto cocleare fosse una bacchetta magica.

 

Valentina aggiunge che, anche per persone riconosciute come sorde e che hanno diritto all’interprete, le cose non vanno meglio.

 

“Alcuni ospedali nel Veneto hanno una convenzione con un ente che offre servizi di interpretariato.

Alcuni ospedali offrono un servizio a distanza con un servizio di interpretariato a distanza, ma non sono d’accordo con questa modalità.

Pensate di avere bisogno di una visita ginecologica o dermatologica, se ho qualcosa sul sedere deve vedermelo pure l’interprete dalla telecamera?!

 

Dovrebbe essere offerto un servizio misto a seconda delle necessità.

 

E dovrebbe essere lo stesso interprete ogni volta!”.

 

Senza contare le possibili difficoltà di connessione: se già una visita può essere faticosa per mille motivi, così si aggiungono solo altri carichi, pratici ed emotivi.

 

Anche il trasporto in ambulanza e la comunicazione con il primo soccorso è problematica, non essendo il personale formato e con competenze, almeno di base, della lingua dei segni.

 

 

Giustizia

 

Ma tra un DL e l’atro per creare il nostro merdaviglioso Stato di Polizia, ce l’avranno fatta i nostri eroi a rendere almeno possibile esporre denuncia per le persone sorde?

 

… Ma che ve lo dico a fare…

 

Valentina racconta uno scenario di incomunicabilità che Kafka scansate proprio.

 

L’accessibilità dei Centri Anti Violenza (CAV) è così fatta:

  • Puoi mandare una mail, è facile! Mh… Forse non è proprio facilissimo descrivere via mail i dettagli delle violenze subite. Chi scrive potrebbe bloccarsi e finire per non ricevere l’aiuto di cui ha bisogno per raccontare e vedere accolta tutta la sofferenza e la paura che queste situazioni si portano dietro.
  • Fatti aiutare da una persona amica o parente. Alla faccia della privacy eh. Senza contare che non è detto che si abbia questa rete di supporto.

 

Eppure, la violenza sulle donne disabili è anche violenza di genere.

 

 

 

Lavoro

 

Grazia: Se una donna sorda cerca lavoro a Padova cosa fa?

Esistono aziende accessibili o la disabilità resta una barriera per l’indipendenza economia?

 

… La indovino con una!

 

I centri per l’impiego non prevedono nessuna forma di accessibilità, se non suggerire di portare un parente: anche qui, niente privacy, e niente autonomia.

 

Oppure ti chiedono di scrivere su dei foglietti di carta.

Forse in pochi sanno che la LIS si chiama LINGUA dei segni proprio perché è una lingua a tutti gli effetti, e non sempre tradurre è semplice e immediato per persone sorde segnanti.

 

Insomma, una persona sorda non ha diritto a valorizzare le proprie conoscenze e competenze, non ha diritto a un lavoro.

 

Ed ecco che restano due strade: emigrare o creare la propria azienda… Come sempre, chi ha il privilegio di poterlo fare.

 

E la Legge 68/99?

 

Valentina ci spiega che “dentro questa legge ci sono persone sorde, cieche, orfane, che hanno avuto un tumore, persone che hanno fatto la guerra e partecipano tutte allo stesso concorso”.

 

Non c’è equità in calderoni senza senso, non c’è attenzione alla specificità della singola situazione e disabilità.

 

Creare una categoria a parte per persone sorde, questo sarebbe davvero accessibile.

Ma finché nei vari Ministeri ci lavorano persone abili che niente sanno di disabilità…

 

 

 

E L’ATTIVISMO FEMMINISTA INTERSEZIONALE?

 

Eh, diciamo che pure l’attivismo femminista intersezionale, sembra un po’ poco intersezionale.

 

Certo, lɜ interpreti costano.

Ma i sottotitoli durante le proiezioni nei centri sociali?

E chiedere alle persone sorde attiviste quali possono essere i loro bisogni, parlare, organizzarsi INSIEME, anche questo è costo?

 

La verità è che anche chi è femminista può avere pensieri e condotte abiliste.

Anche chi scrive può, perché siamo nate in una cultura abilista.

 

Quello che non possiamo permetterci, è fermarci.

 

Non possiamo smettere di decostruirci, non possiamo sentirci arrvatɜ, non possiamo permetterci di non riconoscere e picconare l’abilismo a cui siamo abituatɜ e che rende la lotta estremamente esclusiva ed escludente.

 

Se il femminismo è intersezionale, non può non riconoscere l’abilismo come un problema da risolvere, un problema sistemico e che condiziona profondamente la (qualità della) vita delle persone disabili.

 

Vi lasciamo all’intervista completa sulla nostra pagina… L’ultima Rassegna Antiabilista di quest’anno!

 

E ci teniamo a concludere riportando anche qui le parole del nostro ultimo post (link esterno): perché questo non è un punto. È un punto di inizio.

Ma non sembri disabile!

Nel nostro immaginario, la vera disabilitàTM è certificata da una sedia a rotelle. O da una protesi, o almeno da un’invalidità riconosciuta!

Eppure, i dati ci dicono che questo è uno stereotipo bello e buono, perché la stragrande maggioranza delle persone con disabilità non utilizza, ad esempio, l’iconica sedia a rotelle.

E tante persone disabili non sono nemmeno riconosciute legalmente in quanto tali. Perché la disabilità è uno spettro di cui si vedono solo alcuni colori – e pure questi si vedono male.

Ma che ci azzeccano tra di loro disabilità, drag art, comedy e queerness?

Ce lo raccontano in questa serata Iinu The Monster (link esterno), weird drag creature dal 2022, ed Emma Della Libera (link esterno), nutrizionista plant based, comica di SIT-down comedy e attivista.

E il denominatore comune che risalta fin da subito è la voglia di essere VISTƏ. La possibilità, attraverso la loro arte e i social, di non nascondersi più, di incontrare persone interessate ad ascoltare e capire. Ma anche disposte ad essere disturbate, a stare nella scomodità di comprendere il proprio privilegio e attivarsi perché smetta di essere tale, la scomodità che si sente quando ci si sussurra “Anche io sono abilista e devo decostruirmi”.

Come dice Emma, “La disabilità non è unica, è un insieme di tasselli e nessuno di loro è indipendente”.

La disabilità di Iinu, ad esempio, non si vede per niente. In questo caso si parla di “disabilità invisibili”, anche se forse sarebbe più corretto parlare di disabilità – e, in questo caso, malattie – invisibilizzate. E se si parlasse di disabilità alle persone più piccole fin dalla scuola, se si facesse formazione nei luoghi di lavoro e di studio, sicuramente il lessico e le rappresentazioni contribuirebbero a renderle note, chiare e viste.

Ma fino a quel momento, ci pensa l’arte!

Iinu infatti ha la fibromialgia, malattia cronica invalidante -perché magari non si vede, ma, anche chi scrive, assicura che si sente! – che riesce a raccontare, rappresentar e rendere visibile attraverso la sua drag art: “Ho iniziato a fare drag art dopo la diagnosi come modo per esprimere la mia creatività. Io faccio il drag freak alternativo, e con un personaggio mostruoso, il drag mi permette di giocare con le mie difficoltà quotidiane, perché la fibromialgia non smette mai. È costante, un dolore di sottofondo in ogni fase della vita. E io lo trasformo in una luce creepy. La fibromialgia è invisibile, non la vedi ma c’è. Per me il drag è un’occasione per uscire per tre minuti dal mio dolore quotidiano”.

Anche Emma disturba e strappa veli di Maya, ma con la comicità… E la SIT-DOWN comedy! Che di base non esiste -un po’ come l’accessibilità nel mondo dell’arte! -, ma Emma se ne frega, si ribella e la fa esistere.

“La sit-down comedy è il ribaltamento della stand-up comedy, che è limitante già nel nome: con la mia disabilità motoria non si può salire sulla stragrande maggioranza dei palchi. Già riuscire ad esserci e non parlare di sé stessə con pietismo spiazza lo stereotipo, spiazza il pubblico”.

 

Dicevamo che la disabilità è uno spettro di cui si vedono pochi colori e male: ecco, la disabilità di Emma è visibile, comprovata e bollata dalla sedia a rotelle… E nonostante questo, il mondo non la vede.

Non la vedono le strade inagibili, i luoghi pubblici, i luoghi di cura, di cultura, di studio, di svago. 

In un mondo estremamente esclusivo e abilista, quanto è potente salire su un palco ed esibirsi in quanto comica, rifiutando lo schema fisso, pietistico e piatto del palco di Sanremo?

Quel palco lo distrugge, questa potenza disturbante.

Ma parliamo meglio di questo disturbo con le domande di Grazia allə ospiti.

 

Come rispondete a chi reputa la vostra narrazione non adatta o confortevole al pubblico?

Emma: È insito nella mia arte mettere a disagio. Io parlo di pulirsi il culo e per me è anche un modo per esorcizzare la propria difficoltà. La sit-down comedy è l’occasione per dire a tuttə le cose che mettono a disagio e che non sono confortevoli.

Iinu: Io non sento di giustificare nulla. È necessario che l’arte drag non sia così stereotipata (uomo omosessuale bianco con i tacchi, il trucco etc.). A volte ho dovuto giustificare il perché non faccio certe cose (tipo indossare super tacchi), così come lo scegliere di rappresentare un’arte drag non così nota come la monster. A volte tendo più a giustificare la mia presenza nel mondo Drag come ASAF che come una persona con la fibromialgia. La cura è politica, dobbiamo sostenerci noi sorelle.

 

Come avete vissuto nella vostra carriera artistica la disabilità, dal momento che chi ha una disabilità invisibile deve giustificarla e chi ce l’ha visibile va incontro a stereotipi?

Iinu: Io ho problemi con il medico di base e non solo. C’è resistenza nella medicina. Il mio problema è farmi credere dal personale medico.

Emma: Gli stereotipi spesso colgono di sorpresa lo spettatore medio. Io parlo di disabilità come variabile della vita. Finché non si arriva alla base in cui il nostro ingresso negli eventi è garantito, ovvero accessibile, non possiamo smettere di rivendicarla.

 

Parliamo di Creep Faces e Inspiration Porn.

Emma: Nell’industria audiovisiva il personaggio con disabilità è interpretato da attorə che nella vita vera non lo sono: una cosa che fa incazzare noi disabili è che non si è spesso informatə, non c’è stato un lavoro approfondito vero dietro lo studio del personaggio. Spesso ha lo stesso risultato della black face, una cosa ridicola, non autentica.

Iinu: La fibromialgia è talmente poco considerata che non c’è ispiration porn. A volte penso ai “got talent” che spesso portano all’estremo la cosa, tipo “uuuuh una persona autistica che suona il piano!!”.

Se io vado lì e dimostro il mio talento, voglio essere valutata per quello e non per il mio background.

Spesso la fibromialgia è associata a corpi non conformi in disagio sociale, cosa tra l’altro fuorviante ed errata. La fibromialgia colpisce tuttə. È fluttuante, ci sono dei momenti in cui non funzioni. Le persone con una disabilità invisibile sono tante, anche se non si direbbe.

 

Cosa cambiereste se poteste ridisegnare il mondo dell’arte?

Emma: Sentire prima il messaggio delle persone, avere più anima e meno sovrastruttura.

Iinu: Non dover più giustificare perché sono là, perché faccio una cosa, e chiedere anticipatamente le cose base -bagno accessibile, la presenza di una sedia in camerino, etc.

 

Quale consiglio dareste a chi vuole avvicinarsi all’arte?

FATELO!

 

Cosa chiedete a chi come noi organizza eventi?

Un’accessibilità di base, come rampe e bagni accessibili.

 

Durante questo incontro, Iinu ed Emma hanno detto due frasi che sarebbero da tatuarsi in fronte:

“La cura è politica”, e la disabilità non è unica, è un insieme di tasselli e nessuno di loro è indipendente”.

 

La cura è conoscere la realtà delle persone disabili -o con disabilità-.

La cura è organizzare eventi accessibili, ma anche vacanze accessibili nei gruppi di amichə.

La cura è non scegliere al posto di chi ha una disabilità.

La cura è imparare a fare rumore e non a silenziare il Sacrosanto Disturbo, la Sacrosanta Sacra Rabbia.

La cura è stare nella consapevolezza di essere abilistə, senza cercare rassicurazioni e assoluzione da persone disabili decostruite o in un percorso di decostruzione.

 

La cura è volere imparare la cura. E per farlo, bisogna accettare di sentire rumore, disturbo e scomodità.

 

E sarà un dirompente, potente, e bellissimo viaggio.

 

Articolo a cura di Francesca Pastorino, @marketing_etico (link esterno).

 

È davvero possibile separare l’arte dall’artista?

È davvero possibile separare l’arte dall’artista?

Sicuramente non lo è stato durante questa Rassegna Antiabilista, durante la quale, ancora una volta, arte e politica hanno dimostrato di essere profondamente legate e, insieme, rivoluzionarie.

Se dovessimo scegliere una parola chiave da cui partire per raccontare questa serata, sarebbe “immaginazione”.

Intanto, “L’immaginazione ritrovata”, libro di Alessandro Padrin (link esterno), persona autistica, artista e scrittore che si racconta intervistato da Beatrice, volontariə del Padova Pride.

Il suo (primo!) libro è un viaggio negli anni tra pensieri, fantasie, musiche e immaginazioni che sono sempre state fondamentali nei momenti di “fuga dai mali del mondo” e dei “fastidi quotidiani” -alla faccia dell’arte che non sarebbe politica!

Un assaggio del modo che Alessandro ha di vivere e descrivere le immagini ce lo dà parlando dei Talent, un gruppo di cinque artisti professionisti nello spettro esperti di marketing e comunicazione, grazie ai quali ha avuto l’ispirazione per questo esordio letterario.

“Una volta, sentendo parlare uno dei Talents, mi sono aperto, e si è sbloccata la chiave del baule della mia immaginazione e le mie fantasie si sono trascritte in questo libro”.

Quel baule pieno di creatività, che così spesso ci aiuta a gestire il rumore che fa il mondo, e che dalle 100 pagine previste, ne conteneva 250, inaspettate e dirompenti.

Stereotipo vuole che le persone autistiche siano prive di fantasia, creatività ed immaginazione, perché la rappresentazione è sempre stata questa: o geni della matematica, rigorosamente socializzati come uomini, o eterne vittime di infantilizzazione.

Ecco perché è così necessaria una rappresentazione realistica e reale, fatta da persone autistiche e capace di dare alla parola “spettro” l’importanza che merita, che informi, che non porti a generalizzare, ignorando parti fondamentali della vita di tante persone -e chissà, forse della propria.

Per Alessandro Padrin, l’arte è sempre stata fondamentale, e, fortunatamente, il contesto che aveva intorno gli ha permesso di coltivare il suo talento fin da piccolo, essendo stato sempre riconosciuto come un bambino estremamente creativo.

E quanto è utile parlare e sensibilizzare sull’importanza di una società antiabilista, e quanto sarà liberatorio vedere che, grazie a rappresentazione e divulgazione corretta, un giorno tutte le piccole persone nello spettro potranno crescere così, riconosciute e validate.

E nella sicurezza di poter creare come ci pare!

Infatti, quando crea, mica programma! Salvo la base per le commissioni, crea e basta, e possono passare anche mesi e mesi tra un’opera e l’altra.

Capita, quando l’arte non è performativa, ma espressione -e politica-, che si ascoltino i propri ritmi, anche quelli considerati troppo o -soprattutto- troppo poco serrati in una società neurotipica: e allora, che si tratti di dipingere una Cappella Sistina al giorno, o un quadro all’anno, si inizia ad ascoltarsi e ascoltare la propria creatività.

E proprio questo ascolto è stato alla base della seconda parte della serata, con l’attivista queer Nicky Daigoro (link esterno) -nonché artista e fumettista molto indipendente come ci tiene a sottolineare-, e Marta Telatin (link esterno), artista, pittrice e formatrice non vedente dall’età di tredici anni.

Anche qui l’immaginazione ha avuto un ruolo chiave: come immaginiamo l’euforia di genere? Come la rappresentiamo?

Intanto, Nicky inizia ricordandoci cosa sia, e soprattutto quanto sia ancora più pervasiva di quanto non immaginiamo, in quanto l’euforia di genere ha sicuramente un aspetto personale e intimo, ma anche sociale e collettivo che mette tutt3 nella condizione di dover fare qualcosa per cambiare l’ambiente in cui ci troviamo.

“È la sensazione di benessere data dall’allineamento tra la propria identità di genere ed espressione di genere e dalla possibilità di esprimere liberamente chi siamo”.

Una minority joy, come continua Nicky, difficile da provare in una società eteronormativa, in cui bisogna trovare posto per la rabbia, la lotta, la rivendicazione, l’orgoglio, ma restano molto meno spazio e tempo per sperimentare quella “beatitudine di essere in una rete sociale che sostiene e supporta, che vuole rappresentare e dare spazio e voce a tutte le minoranze che hanno sempre dovuto nascondersi per sopravvivere”.

Tosta eh rappresentare tutto questo!

Fortunatamente Marta è venuta in nostro aiuto con la sua arte e il lavoro di tanti anni come formatrice in scuole e aziende, facendoci scoprire non cinque, ma ben 29 sensi a nostra disposizione! Dopo aver impostato ognunə la propria carta di identità creativa, si inizia a disegnare, con o senza benda sugli occhi, la personale idea di euforia di genere. Non ci sono confini e regole, solo il sentire e i sensi che si decide di utilizzare.

Ambienti sicuri, in cui potersi rappresentare senza paura, sono ancora pochi e spesso piccoli. Ma stanno crescendo, proprio grazie al lavoro di tantə attivistə come quellə che lavorano al Padova Pride, al Progetto Tiresia e tante altre realtà di cambiamento.

Non sappiamo quando una persona autistica riceverà diagnosi e diritti in tempi appropriati, quando la società sarà più accessibile e informata, e nemmeno quando la transfobia sarà solo un fantasma da ricordare per non farlo materializzare mai più.

Ma sappiamo che con la lotta intersezionale è davvero possibile creare realtà migliori, in cui essere veramente gioiosə ed euforichə della realtà e degli spazi che attraversano i nostri corpi.

Vi aspettiamo ai prossimi eventi della Rassegna Antiabilista con il prossimo evento!

 

Articolo a cura di Francesca Pastorino, @marketing_etico (link esterno).

 

Foto delle produzioni del workshop "Disegna l'euforia"

L’arte di rinascere: dialoghi, arte e comunità per abbattere le barriere

La seconda serata della rassegna antiabilista ha offerto uno spazio di riflessione e scambio sull’intersezione di temi come transgenderità, disabilità e neurodivergenza. La serata si è sviluppata in due momenti distinti ma complementari: un talk con lə attivistə Barbie Queer, Giona Dagnese ed Elios Favaretto, seguito dalla performance artistica L’arte di rinascere, realizzata da Liam The Harpist e Nicky Daigoro.

La scelta dellə ospiti ha portato sul palco esperienze personali e collettive che hanno intrecciato attivismo, vissuti quotidiani e creatività, creando un dialogo ricco e stimolante. Dal racconto della rabbia trasformata in forza di cambiamento, all’importanza di costruire una comunità disabile coesa, fino alle questioni di accessibilità e al valore dell’euforia di genere, ogni intervento ha contribuito a mettere in discussione le barriere fisiche, culturali e sociali che troppo spesso escludono le persone marginalizzate.

La rabbia come motore di cambiamento

La rabbia è stata descritta non come un sentimento da reprimere, ma come una reazione naturale e necessaria alle ingiustizie. Alcunə ospiti hanno raccontato come, inizialmente, fosse facile accettare l’abilismo come una realtà inevitabile. Solo entrando in contatto con la comunità queer, coesa e impegnata in una lotta collettiva, hanno trovato il coraggio di mettere in discussione anche le discriminazioni legate alla disabilità.

Questa presa di coscienza ha suscitato una rabbia nuova, non più rivolta verso sé stessə, ma verso le strutture sociali oppressive. Un’emozione che, una volta riconosciuta, diventa una forza trasformativa, capace di alimentare l’attivismo e il desiderio di cambiamento.

Una comunità disabile più unita

Uno dei messaggi più potenti emersi durante la serata è stato il bisogno di riconoscere e valorizzare l’intersezionalità. Le esperienze condivise hanno mostrato come le identità di genere, sessuali, disabili e neurodivergenti si sovrappongano, creando vissuti unici e complessi. Tuttavia, queste intersezioni non devono portare a frammentazioni, ma piuttosto a un rafforzamento reciproco.

Il desiderio espresso da più ospiti è stato quello di vedere una comunità disabile forte e coesa, capace di lottare insieme per ottenere piena inclusione e riconoscimento. La frammentazione, infatti, rischia di isolare le persone, rendendole più vulnerabili alle discriminazioni. La serata ha offerto uno spunto di riflessione importante: la necessità di spazi sicuri dove le persone possano essere accolte nella loro totalità, senza dover scegliere quale parte della propria identità mostrare o nascondere.

Accessibilità: un problema sistemico anche negli spazi queer

Un altro tema centrale è stato quello dell’accessibilità, troppo spesso trascurata anche in contesti che si definiscono intersezionali. Gli interventi hanno evidenziato che molti spazi queer, pur essendo dedicati all’inclusività, non tengono conto delle esigenze specifiche delle persone disabili e neurodivergenti, escludendole di fatto dalle loro attività.

È stato sottolineato che l’accessibilità non può essere un’aggiunta successiva, ma deve essere integrata fin dall’inizio nella progettazione degli eventi. Solo coinvolgendo direttamente le persone disabili nell’organizzazione si può creare uno spazio realmente accogliente. Questo è un punto cruciale per chiunque voglia costruire comunità più inclusive: l’accessibilità non è un lusso, ma un diritto fondamentale.

Euforia di genere

Il percorso delle persone trans viene spesso rappresentato unicamente come doloroso e caratterizzato da una forte disforia di genere. Per questo, durante la serata si è deciso di mostrare anche l’altro lato della medaglia: l’euforia di genere. Il tema è stato affrontato sia tramite i racconti dellə ospiti, che hanno condiviso il momento in cui si sono finalmente riconosciutə allo specchio, sia attraverso la performance L’arte di rinascere.

In questa occasione, Liam the Harpist (link esterno) ha suonato l’arpa e Nicky Daigoro (link esterno) ha creato un live painting, esprimendo la gioia e la potenza del vedersi per chi si è realmente. La frase “Mi vedo”, emersa sia durante il talk che nella performance, è stata centrale: semplice ma profonda, ha scosso tuttɜ, ponendo al centro il tema dell’euforia di genere e l’importanza di riconoscersi per come si è veramente.

La rassegna continua nei prossimi mesi, con l’obiettivo di mantenere viva la riflessione e stimolare azioni concrete di cambiamento. Vi invitiamo a partecipare ai prossimi eventi, per arricchire insieme questo percorso di confronto, lotta e trasformazione collettiva. A presto!

Articolo a cura di Aurora Cadalino, @auropeace (link esterno).

Costruisci con noi la Rassegna Antiabilista!

La lotta intersezionale non è solo nostra, è anche tua, è di tuttə – perché questa società l’abbiamo costruita insieme. E, purtroppo, l’abbiamo creata a misura di un solo tipo di persona: quella momentaneamente non disabile e neurotipica. Ogni barriera che esiste è il frutto di una costruzione storica e collettiva che esclude una parte enorme della nostra comunità. E questa esclusione è nostra responsabilità.

Per questo abbiamo deciso di organizzare una serie di incontri per affrontare questi limiti, per mettere in discussione una società che esclude e che non riconosce i diritti delle persone disabili e/o neurodivergenti. Ogni evento della Rassegna Antiabilista non è solo un’opportunità per parlare di accessibilità, ma un atto di cura e di responsabilità condivisa. Ma tutto questo richiede tantissimi costi, che da solə non possiamo sostenere: interpretariato LIS, mezzi di trasporto accessibili, tracce audiodescrittive e molto altro. Perché l’accessibilità non è un favore, ma un diritto.

Costruisci con noi la Rassegna Antiabilista, prendi parte al cambiamento che ci riguarda tuttə. Non possiamo farlo da solə, è un impegno collettivo, una battaglia che possiamo vincere solo insieme.

Sostenendoci, non solo aiuti a creare un evento accessibile, ma diventi parte di un cambiamento necessario. Garantiamo la massima trasparenza: ogni volta che raggiungeremo un obiettivo, condivideremo qui su Instagram e su Ko-fi la foto e il pagamento per mostrarti come vengono utilizzati i fondi.

➡ Se vuoi donare per una specifica attività (es. accessibilità dei trasporti, interpretariato LIS, ecc.), vai nella sezione “commissions” dove trovi le spese dettagliate per ogni singola voce. Così puoi vedere esattamente dove vanno i tuoi soldi.

➡ Se preferisci fare una donazione generale per supportare l’intera rassegna, puoi farlo direttamente sulla pagina principale del nostro Ko-fi.

Ogni gesto (anche il più piccolo) è un passo verso una società che finalmente si misura con le necessità di tuttə, senza esclusioni. Il privilegio non è una colpa, ma decostruirlo è una responsabilità e tocca a noi.

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