Voci fuori dalla Storia Porci con le Ali Verso una nuova Politica dell’Amore: intervista con Franco Grillini

Mag 7, 2020

Intervista a Franco Grillini testo integrale

Eva

Buongiorno a chi ci sta seguendo da casa, siamo Schiara, ovvero la parte più apollinea del comitato Padova Pride, oggi abbiamo un altro ospite con noi per la nostra rubrica “Voci FUORI dalla Storia”. “Voci FUORI dalla Storia” è un raccoglitore, un album di storie dimenticate, testimonianze, voci fuori campo, un po’ rivoli dimenticati della vita della comunità LGBTI+.

Abbiamo organizzato questa serie di interviste dove il tono, come avrete capito, sarà informale, ma non per questo meno serio di un incontro tra amiche che si incontrano per farsi i bigodini a vicenda. Ciò che ci ha spinto a fare tutto ciò è sicuramente una grande sete di sapere antropologico, dall’altra anche una lodevole voglia di cazzeggio intellettuale.

Un’ultima avvertenza per chi ci segue da casa, tutti i promotori e tutte le promotrici di “Voci FUORI dalla Storia” sono ancora single.

Danilo a te la parola, iniziamo la nostra intervista.

 

Danilo

Oggi abbiamo con noi Franco Grillini, fondatore e presidente onorario di Arcigay Nazionale e uno dei rappresentanti più importanti della “stagione dei diritti” del movimento LGBTI+.

Con lui analizzeremo il primo periodo degli anni ’80 che coincide con il suo primo periodo di attivismo ed è anche il periodo storico in cui l’AIDS arriva nei media e negli ospedali italiani.

Ribadiamo da subito che non vogliamo fare confronti azzardati tra l’epidemia di oggi e di ieri, ma vogliamo capire come è stata vissuta e affrontata dai protagonisti di quel periodo.

Franco Grillini inizia la sua militanza nel 1982 con l’inaugurazione della sede del circolo di cultura omosessuale ’28 giugno, ossia l’attuale Cassero di Porta Saragozza.

Come ricordato, nel 1985 fonda Arcigay Nazionale e ne diviene presidente con il congresso di Rimini del 1987.

Questo è un periodo particolare, abbiamo ricordato che arriva l’AIDS e ci si accorge ben presto che servivano forze e informazioni concentrate sul tema per cui Grillini nell’ 87 fonda il LILA (Lega italiana per la lotta contro l’AIDS).

Nello stesso anno, fuori d’Italia a New York nasce ACT UP, associazione per la lotta contro l’AIDS dalle modalità certamente più forti e radicali del LILA in Italia

Un anno dopo Grillini fonda il N.O.I. (Notizie Omosessuali Italiane) che più tardi diventerà Gaynews.it

Ma non possiamo non ricordare che alla militanza da attivista Grillini affianca una carriera istituzionale. Che lo vede arrivare nel 2001 nella camera dei deputati nella lista dei DS, Democratici di Sinistra diventa il primo onorevole gay dichiarato d’Italia.

Guardandosi indietro nella sua storia lui disse:

Lo abbiamo cambiato lo stesso questo paese. I gay li menavano, si suicidavano. Ci sputavano addosso. Neanche adesso è un paradiso, ma i quindicenni gay ora lo dicono alla mamma. Abbiamo fatto una rivoluzione civile non violenta e qualcuno non se ne è neanche accorto

 

Per cui, per iniziare volevamo chiederti Franco come stai e come stai superando la quaranta?

 

Franco

Direi che sono a casa come tutti, e ne sto approfittando sia per leggere cose che avevo rimandato da lungo tempo e sia per sistemare la burocrazia che ci pervade e che ci porta via un sacco di tempo, che però bisogna fare. Devo dire che abbiamo appena fatto il congresso telematico – perché non si poteva fare altrimenti – dell’associazione che presiedo che si chiama Gaynet, che è l’associazione dei giornalisti omosessuali italiani che si occupa di informazione e concorsi di formazione per giornalisti e altre lodevoli iniziative.

Quindi diciamo che è un periodo abbastanza fruttuoso. Mi sto pure abituando. Tutto sommato stare a casa e fare un sacco di cose che bisognava fare, alcune delle quali anche piacevoli come per esempio cucinare non mi dispiace. Diciamo che la strategia più utile, secondo me, è trasformare di necessità virtù in modo tale che il tempo non scorra inutilmente e che sia utilizzato al meglio. Quindi devo dire che in questo momento sto benino, nonostante tutti i miei problemi di salute che sono nati, e spero ovviamente che il lockdown finisca presto per tornare a fare delle belle passeggiate e soprattutto per fare iniziative in pubblico. Devo dire che questo periodo ha accelerato un processo positivo di Digitalizzazione del paese, che era un po’ in ritardo, e che ha posto tutta una serie di problemi come quello di considerare internet come un diritto (la Finlandia lo ha messo in costituzione) e di coprire le zone bianche che sono tuttora scoperte in Italia. Diciamo che potendolo evitare tutti quanti noi avremmo potuto evitare questo periodo, Non potendolo evitare proviamo almeno di trasformarlo in una cosa positiva.

 

Danilo

Ho ricordato che la tua prima iniziativa da attivista è stata l’inaugurazione dell’attuale Cassero, ci puoi raccontare uno spaccato di quel momento storico?

 

Franco

Fu un momento molto interessante e molto bello. Tenete conto che tutte le cose che noi facemmo allora venivano fatte per la prima volta. Quindi siamo stati un po’ pionieristici perché è vero che il movimento è nato nell’aprile del ’72 con la nota manifestazione di contestazione del congresso dei sessuologi a Sanremo, ma è anche vero che purtroppo negli anni ‘70 non aveva sfondato a livello di massa.

Erano rimasti tutti grupponi abbastanza piccoli con attività assolutamente meritoria, perché anche loro lo facevano per la prima volta. Io facevo parte negli anni ‘70 di un gruppetto della sinistra rivoluzionaria che si è sciolto nell’84, che aveva al suo interno anche il gruppo gay essenzialmente maschile, perché le donne omosessuali allora militavano nel movimento femminista separatista. E poi arrivò il cassero di Bologna che adesso non è più nella sede originaria che aveva svariati problemi strutturali per cui è stato trasferito nel 2002 nell’attuale cassero che si chiama Salara, che è un altro monumento nazionale, molto bello. Qualcuno di voi lo conoscerà. Però il 28 giugno ‘82 noi inaugurammo il cassero di porta Saragozza, tra due anni saranno 40 anni.

A proposito di anniversari, quest’anno è un anno di anniversari perché proprio nel marzo dell’85 facemmo la prima parte del congresso che portò alla fondazione di Arcigay nazionale al cassero, per cui sono 35 anni, e proprio oggi ricorrono 30 anni dell’inaugurazione del monumento agli Omosessuali sterminati nei campi di concentramento nazisti. L’unico monumento a terra che esiste a tutt’oggi in Italia: sono state inaugurate diverse targhe. La più importante delle quali è quella della risiera di San Saba, inaugurate con la presenza e collaborazione del circolo Arcigay di Trieste. Però a terra al momento rimane quello di trent’anni fa che fu un’inaugurazione molto emozionante perché erano presenti il console generale in Germania, l’allora sindaco di Bologna Renzo Imbeni e moltissimi militanti lgbt, per fortuna oggi quasi tutti vivi che possono testimoniare l’emozione di quel giorno.

Ma anche l’inaugurazione otto anni prima del cassero fu un momento straordinario perché fu la prima sede che un comune dava in affitto ad una organizzazione omosessuale.La prima in assoluto in Italia, poi che sede. Un piccolo castello su mura del 1200 alle porte di bologna, la più bella delle porte di bologna. E fu caratterizzata da un corteo che a mio parere a tutti gli effetti deve essere considerato un pride.

Oggi si discute quando è stato il primo Pride ufficiale. C’è un accordo per dire che il primo Pride è stato a Roma a Campo dei fiori. Ma la mio opinione che pria sono state diverse manifestazioni che sono state dei Pride a tutti gli effetti come quella dell’inaugurazione del cassero. Era 28 giugno, era il giorno del Pride. Il Pride in giro per il mondo era già una manifestazione consolidata. Dopo quello del 1970 a New York, perché noi consideriamo la rivolta di Stonewall come l’inizio un po’ di tutto, una scintilla. Però il primo Pride ufficiale organizzato fu quello dell’anno dopo che presentò svariati problemi. Ho avuto piacere e onore di partecipare l’anno scorso in carrozzina ahimè ma c’era chi spingeva. Alla parata di New York per il cinquantesimo anniversario, ho avuto l’occasione di partecipare perché bisognava fare le riprese per un film che stanno facendo sulla mia vita e non potevano mancare ovviamente le riprese dei 50 anni da Stonewall.

 

Tornando al Cassero, quella inaugurazione è stata un po’ la scintilla perché tutti gli altri gruppi gay potessero fare una richiesta dei locali per il proprio comune.

 

Eva

Franco hai qualche aneddoto su questo? Se non sbaglio forse sei stato tu che hai scritto il volantino che diceva “Alfabeto dell’amore”. Espressione forte secondo me.

 

Franco

La cosa buffa fu la riunione del’8 giugno in una scuola dismessa per ragazze che facevano l’avviamento. Sapete che c’era questo specie di diploma professionale che però non permetteva poi l’accesso a gradi superiori di istruzione, che si chiamava appunto avviamento. Quella scuola era chiusa, il comune ce la diede per organizzare l’evento.

Io partecipai alla prima riunione della mia vita anche se poi avevo organizzato diverse cose sui diritti civili ma come dirigente di partito e non come militante lgbt. Quel giorno fu il giorno del mio coming out. Quando arrivai bisognava fare tutto: dal volantino al manifesto, dallo slogan allo striscione. Siccome io avevo già maturato una grossa esperienza politica alla fine finì per dare il mio contributo importante a tutte queste cose. Per esempio, lo striscione di apertura era in bolognese, l’unico a sapere il dialetto bolognese la dentro ero io. Ormai siamo rimasti in pochi a parlare il dialetto qui a Bologna.

 

Eva

Cosa diceva lo striscione in bolognese, scusami?

 

Franco

Riportava un vecchio pregiudizio bolognese scritto in bolognese. Che era un po’ la strategia di quel tempo cioè prendere il pregiudizio, riproporlo per cercare di rovesciare il significato.

L’è mei un fiol leder che un fiol buson”, ossia “Meglio un figlio ladro che omosessuale.”

Nessuno ovviamente oggi dice una cosa del genere, ma fu molto apprezzato per l’Autoironia. Fu apprezzatissima quella cosa lì: mostrava un manifesto che non era malmostoso, che era un movimento ironico, gentile che faceva le manifestazioni per cambiare le cose ma non in maniera violenta o depressiva. Quindi fu apprezzatissimo perché lo trovarono tutti molto divertente e anche un monito, perché sconfiggere il pregiudizio anche dei vecchi slogan popolari era uno dei nostri compiti.

In quella manifestazione che partì da piazza nettuno a Bologna dove c’è il comune e la statua del Nettuno, sulla quale venne scritta poi una zirudèla che sono poesie in dialetto bolognese, un po’ volgarotte. Fu messa in una cartolina in vendita nei tabaccai, con la statua di bronzo che come sapete è molto alta e molto grande che era raffigurata con delle mutande di latta.

Questa storia delle mutande di latta è una cosa antica. Per esempio, la scrive Engels a Marx, che erano un po’ omofobi i due. Perché pochi sanno che il primo movimento lgbt nacque a Berlino alla fine dell’800. Ed Engels scrive questa lettera dicendo “se vincono questi, dovremmo indossare tutti le mutande di latta”. Noi abbiamo sempre detto che nessuno correva rischi di questo tipo perché anche i gay scelgono: non è che il primo maschio che passa per strada gli si salta addosso. Ma queste sono le fantasie degli eterosessuali, forse un modo per manifestare il loro desiderio inconsapevole in forma di aggressività.

Allora facemmo questo corteo che era composto da poca gente. Ora siamo abituati alle grandi masse, al fatto che i pride sono di fatto manifestazioni di popolo a cui partecipano mezza città, moltissimi eterosessuali, soprattutto giovanissimi. E devo dire che da questo punto di visto soffriremo molto quest’anno a non poter fare i Pride in strada. Allora però eravamo in pochi, saremo stati se va bene centocinquanta. Però è significativo perché c’erano in quel momento tutti i gay visibili che c’erano in Italia, c’era qualche donna, c’erano molte trans, che allora attenzione non si chiamava così. Perché quando cambiano gli anni, cambia ancora il linguaggio: allora le persone transessuali si chiamavano travestite. Tanto che a Bologna c’era il C.T.B. Collettivo Travestiti Bolognesi e anche se vedete il più noto film che c’è sul tema, che è “Rocky Horror Picture Show”, i protagonisti si chiamano “transvestite”. Uno dei film passati alla storia del cinema, proiettato milioni di volte, visto moltissime volte da tutti noi. Lo spettacolo è rimasto a Londra per tanti anni nei teatri ed è una sovversione a commedia.

 

A proposito di commedia, prima citavate ACT UP che è stata fondata da Larry Kramer che ha scritto la commedia più famosa sul tema dell’AIDS che è “The Normal Heart”, il cui testo è stato pubblicato in Italia con la mia prefazione. Cosa di cui sono molto onorato. Ci siamo sfiorati a New York, perché al mattino c’era la manifestazione dell’ala radicale del movimento LGBT americano a Central Park alle 9 del mattino di domenica mattina 9 giugno. Eravamo ancora a letto perché eravamo andati a letto tardissimo ovviamente, tant’è che non ci eravamo andati. E mi hanno detto che c’era un migliaio di persone, tra cui Larry Kramer.

 

Danilo

E all’epoca avevate rapporti con ACT UP? Cioè vi conoscevate tra realtà LGBT?

 

Franco

Ci siamo conosciuti in maniera un po’ vivace, diciamo così, per la manifestazione del congresso mondiale per l’AIDS del ’91 a Firenze.

 

Danilo

Perché vivace?

 

Franco

Vivace perché volevano buttare la vernice sui monumenti di Firenze e io gli dissi che in Italia decidevamo noi cosa fare. Cioè siete a casa nostra, noi non vi diciamo cosa fare a New York e a Parigi, perché ACT UP era attiva soprattutto in queste due città, e gli dicemmo che non era proprio il caso, che dovevano rispettare la volontà dei gruppi locali. E siccome insistevano, l’argomento fondamentale fu: “voi tra qualche giorno ve ne andate, noi rimaniamo qui. E cosa facciamo, rimaniamo a pulire la vostra vernice sui monumenti di Firenze?”. E quindi non lo fecero.

Cioè magari a New York non ci sono monumenti e potevano buttare la vernice dove volevano, in qualche grattacielo magari. A Firenze no!

 

Danilo

Abbiamo ricordato prima il fatto che ACT UP e le associazioni penso Arcigay avevano delle modalità molto diverse, e anche il fatto su come le manifestazioni cambiano negli anni.

Cioè se pensiamo alle manifestazioni che avvenivano negli anni ’70 si faceva un putiferio nella città, mi chiedo: non c’è stato in qualche modo una normalizzazione delle manifestazioni e delle richieste? Penso anche al concetto dell’alfabetizzazione dei sentimenti, in qualche modo si è passato dal parlare di sesso all’affettività, in qualche modo non ci siamo un po’ normalizzati?

 

Franco

Beh, questo passaggio dalla liberazione sessuale alla rivoluzione affettiva è un passaggio che mi vede come massimo responsabile, nel senso che addirittura io lo dissi alla prima riunione in cui ho partecipato. Sì, era una riunione dove filò tutto liscio tranne che per la scelta del manifesto. Il volantino che scrissi io venne approvato in pochissimo tempo, lo slogan della manifestazione e via dicendo. Il manifesto, che ho qui attaccato di fianco a me, è una bellissima fotografia, un manifesto anche moderno, c’è chi lo vede e dice potrebbe essere stampato tutt’oggi, anche con la grafica, e riprendeva due ragazzi abbracciati seduti di fianco al pozzo del cortile di Palazzo Renzo a Bologna, in pieno centro, davanti a piazza Nettuno nei pressi di piazza Maggiore.

E dissero: “Ma perché questa foto?” e io dissi: “Perché è finita l’epoca della scorribanda sessuale perché ormai il sesso ognuno se lo può procurare come vuole, cioè la rivoluzione sessuale aveva vinto”. Perché guardate il vero problema, la verrà necessità, il vero bisogno era la liberazione del desiderio del sesso perché prima degli anni ‘70 c’era una repressione pazzesca, c’era un familismo atroce. Il sesso omosessuale maschile ( la storia della sessualità lesbica è diversa, c’è un bel libro che parla di questo) era quello del sesso rubato nei cinema, nei luoghi di battuage etc. Però questo processo, secondo la mia opinione di allora, si era politicamente concluso cioè non era più una situazione in cui più scopate ti facevi e più eri rivoluzionario. Bisognava passare ad altri obiettivi con un’altra piattaforma con un’altra cultura. Quindi proponiamo due ragazzi abbracciati perché questa è la politica futura del movimento.

Scoppiò il finimondo alla riunione dell’8 Giugno 1982. Si finì alle 5 del mattino ma io tenni duro, facevo il sindacalista in quel momento, ero abituato alle trattative, a stare in piedi tutta la notte, non avevo nessun problema, e siccome le cose dovevano essere approvate all’unanimità, io aspettai finché i contrari non se ne andarono. Questo manifesto venne approvato alle 5 del mattino all’unanimità e fu attaccato in tutta Bologna.

Ebbe un successo enorme, chiunque venne a quella manifestazione ne voleva una copia, e vi dirò di più, di recente siamo riusciti a recuperarlo grazie al fatto che il fondatore del Cassero che si chiama Samuel Pinto, un esule cileno, uno di quelli scappati dall’ambasciata italiana così come descritto dal film di Nanni Moretti, Santiago, che vi invito a vedere perché è un bel film, su una vicenda che è stata importantissima per la politica di tutto il mondo, quel colpo di stato determinò un cambio della politica radicale anche in Italia. Lui venne in Italia da esule e a bologna fondò il circolo di Bologna, che inizialmente si chiamava Collettivo di liberazione sessuale (CLS) poi si chiamò collettivo frocialista Bolognese, perché ospitato da una sede socialista, E poi prese il nome di circolo di cultura omosessuale 28 Giugno, e adesso circolo Arcigay Cassero. Come vedete anche nel corso della storia c’è un’evoluzione dei nomi.

E quindi è lì che nasce il cambio della strategia del movimento gay italiano, che fino a quel momento era una strategia di carattere culturale, cioè l’idea è che la rivoluzione si facesse con la cultura e non con la politica. Fino ad allora il movimento non si era occupato di politica, invece da allora in poi divenne politico in senso proprio, nel senso che ha una piattaforma, degli obiettivi, una sua leadership, una sua configurazione più comprensibile al livello popolare.

Non è una questione di essere più o meno rivoluzionari, è una questione di un’altra strategia. Tant’è che il riconoscimento dell’affettività omosessuale è diventato il vero fumo negli occhi del clericalismo fascista e dei reazionari di ogni risma che ci hanno sempre accusato di minare alla radice della società attraverso la messa in discussione dell’organizzazione familiare tradizionalista

 

Gabriele

Volevo collegarmi a questo, nell’82 questo passaggio da un attivismo Radicale a una stagione più politica che poi porterà alla politica parlamentare.

 

Grillini

Io la definirei una Stagione rivendicativa.

 

Gabriele.

Nella scorsa intervista abbiamo intervistato Porpora Marcasciano. Come ci ha raccontato nell’intervista, magari l’aver portato questa rivendicazione nel parlamento e nelle sedi più istituzionali, ha portato ad un delegare, chiedere agli altri che facciano qualcosa per noi. Questo dibattito non è finito nell’82, continua ancora oggi tra associazioni più forti come Arcigay, e il gruppo più radicale. Cosa ne pensi?

 

Grillini

Oggi secondo me questa contrapposizione è solo nominale, non c’è più, poi magari mi posso sbagliare perché anche i gruppi trans, la mia carissima amica, regina di Reggio, e tutte le trans storiche con cui ho collaborato nel corso di questi decenni, hanno appena fatto una conferenza stampa dove propongono una nuova legge quindi mi si deve spiegare quale è la differenza tra la politica Arcigay e questa politica. Quindi diciamo che io ho l’impressione che questo radicalismo sia solo nominale perché poi tutti hanno a che fare con le istituzioni, tutti chiedono soldi a comuni, province e regioni, giustamente dal mio punto di vista perché si finanziano le organizzazioni religiose, noi sappiamo il gigantesco fiume di denaro che passa tra lo stato e i clericali, che spesso e volentieri sono omofobi, ora un po’ meno per fortuna, anche lì la nostra azione ha avuto un certo peso.

Beh, non si capisce perchè non dovrebbe essere finanziata la nostra azione, soprattutto quando la nostra azione di occupa di servizi alla persona perché mi si deve spiegare quale è la differenza tra noi che ci occupiamo e ci dobbiamo occupare di servizi alla persona, e questo secondo me è il vero futuro delle organizzazioni LGBT, la vera differenza con l’82, allora prima una stagione rivendicativa, molti di quei punti sono stati portati a casa, manca la legge sull’omofobia ovviamente. adesso abbiamo un parlamento su tutte altre cose impegnato però in questo parlamento, in questo momento esiste una maggioranza politica che a parole condivide l’idea che sia giusto che sia fatta una legge contro l’omofobia così come è stata fatta in tutta la vecchia Europa. facciamo le stesse cose

Poi io e Porpora siamo come sorelle, c’è un rapporto personale assolutamente stretto e affettuoso, però di fatto facciamo la stessa politica, poi ognuno si definisce come gli pare Io sono nato incendiario e dovrei morire pompiere, invece sono nato incendiario ma muoio rivoluzionario, ma dal mio punto di vista. Perché la rivoluzione non si fa come dice un padovano, vostro corregionale, con il comunismo queer sovvertendo l’eterosessualità, cosa ce ne frega di sovvertire l’eterosessualità? Noi conviviamo con gli etero come loro convivono con noi perché noi siamo perché ognuno abbiamo il diritto alla propria sessualità e identità senza problemi. Diciamo che oggi il discorso rivoluzionario-riformista, rivoluzionario – integrazionista, rivoluzionario -riformista si è spostato più sull’ideologico che sul pratico, perché sul piano pratico da qualsiasi parte ti giri facciamo tutti le stese cose. Almeno ci proviamo.

 

Danilo

In chiusura, volevo chiedere di un aneddoto. Nella scorsa intervista Porpora ci ha raccontato come un libro che l’ha accompagnata nel suo periodo di liberazione e coscienza è stato un libro di “Altman”. Cercando informazioni su di te abbiamo trovato questo aneddoto stupendo di “porci con le ali”. Ce lo puoi raccontare?

 

Eva

Come ti ha cambiato “porci con le ali”?

 

Franco

Beh, il libro di Altman è successivo a “porci con le ali”, anche se ho letto di recente la sua introduzione alla riedizione del suo libro che era “Omosessualità e liberazione”. E fu pubblicato da un editore australiano, Altman era australiano anche se poi ha abitato per lungo tempo negli Stati uniti a New York. Il libro è del ’72, quando l’omosessualità in Australia era ancora illegale, e lì facevano i pride. E prendevano un sacco di botte ogni anno. Persino l’anno in cui l’omosessualità fu decriminalizzata. In Australia esiste un bellissimo film, di cui non ricordo il titolo, sulla storia del movimento gay australiano. Ve lo consiglio perché è davvero sintomatica di molte storie anche fuori dall’Australia. Dove li menavano anche l’anno in cui l’omosessualità fu decriminalizzata.

Finalmente i laboristi erano arrivati al potere. Perché sono stati democratici e socialisti al potere a cancellare le leggi contro l’omosessualità. In Europa negli anni ‘60 era illegale quasi dappertutto e furono i socialdemocratici a decriminalizzare l’omosessualità in quasi tutta l’Europa.

Noi in Italia non abbiamo mai subito aggressioni dalla polizia durante i pride. In Australia li hanno menati per anni e si sono fatti menare per anni, arrestati, picchiati nelle carceri. Molte storie LGBT sono storie di sofferenza e patimento anche pesante.

 

Altman è del ’72 ma arriva più tardi, secondo me arriva dopo “porci con le ali”, che è del 76. “porci con le ali” fu un libro shoccante. Pensate che ne fu venduto un milione e mezzo di copie legali e centocinquemila contraffatte a Napoli. Una stamperia napoletana si mise a stamparlo clandestinamente al mercato nero. Si può dire che lo abbiano letto milioni e milioni di persone, perché poi anche io lo ho prestato a tanti amici.

E ho la dedica di Lidia Ravera, che ho visto di recente e le ho detto “ma ti ricordi che mi hai scritto la dedica sul libro?”. E mi ha pure chiesto di scrivere un seguito.

 

Eva

Con che titolo?

 

Franco

Il seguito? Non ne ho idea, ci potevamo sbizzarrire. Potevamo mettere barboncino con le ali dato che molti gay vanno in giro con il barboncino.

 

Danilo

Appropriato

 

Franco

“porci con le ali” fu davvero una rivelazione, anche perché c’era un personaggio centrale bisessuale che era l’intellettuale professore universitario che era definito “l’intellettuale con sei giornali, sei sotto il braccio”, praticamente io. Ed era quello che scopava a destra e sinistra. Dal punto di vista sessuale, gli anni ’70 furono un periodo molto brillante. Ci fu una grande festa, tant’è che molti dicono “Maledizione all’AIDS mi sono perso la festa”

 

Vedete che poi con Porpora abbiamo molte cose che condividiamo. Per esempio, io sostengo che “Omosessualità e liberazione” di Altman sia stato il vero libro che ci abbia aiutato a capire in che direzione dovevamo andare. Perché il libro di Mario Mieli, di cui è stata fatta l’edizione degli scritti da un editore padovano tra l’altro, a mio parere non aiutava molto. Io non sono mai stato un seguace di Mario Mieli.

 

Danilo

Perché?

 

Franco

Perché Mario Mieli ci propone una idea di liberazione che è un dover essere. Se vuoi essere davvero liberato devi fare così e così. Adesso non scendo nei particolari, perché l’elemento centrale viene sempre censurato nella sua proposta. Come è stato censurato anche negli scritti recenti. E poi lui alla fine della vita disse che era più importante l’ambiente e la pace di tutto il resto”.

Quindi lui diceva se vuoi essere liberato devi fare come dico io. Io ho sempre detto No. Gli individui devono potersi liberare come gli pare. Questa è la vera liberazione e la vera democrazia. Cioè la libertà di costruirsi un percorso di vita secondo le proprie inclinazioni, secondo le proprie idee, secondo i propri desideri, secondo la propria identità, secondo quello che uno si sente. Non una ricetta per la liberazione, io non ho bisogno di ricette di liberazioni, ho bisogno della libertà politica per poter fare la liberazione come meglio credo, nell’ambito della legalità ovviamente.

Invece condividevo in toto il libro di Altman. Mi fa piacere che anche Porpora dica che il libro di Altman sia stata la sua guida.

 

Eva

Un’idea che ci siamo fatti in queste due puntate è che all’inizio abbiamo una rivoluzione sessuale negli anni’70, dopo una sorta di normalizzazione della sessualità e arriva l’Alfabetizzazione emotiva e relazionale di cui hai parlato prima, e di cui sei stato il primo fautore del movimento gay. E ora? Quali sono gli obiettivi dell’associazione Arcigay? Quali sono le nuove frontiere?

Un tema che mi piace sempre mettere sul tavolo è quello su cosa è la famiglia, nel senso che i nostri opposti conservatori e sovranisti hanno una idea di famiglia, assolutamente omofoba e molto rigida. Noi non abbiamo ancora una risposta ben chiara e confezionata. Secondo me dire “La famiglia è dove è amore” è un po’ edulcorato e poco sostanzioso.

 

Franco

Più che edulcorato, è un po’ semplicistico dire solo così. Perché dove c’è amore, ragazzi, visto che è una merce rara è bene che ci sia dappertutto.

La frase che ritengo decisiva sul tema della genitorialità omosessuale è “i figli sono di chi li cresce”. Quindi contro un biologismo che qualcuno ha riproposto anche in una parte del mondo lesbico, con la rivalutazione del ruolo della madre. Noi contestavamo il biologismo e adesso ce lo ritroviamo riproposto addirittura all’interno del movimento. Figuramici! Il destino della donna come madre. Ma quando mai? Perché l’identificazione della donna come madre è poi l’identificazione della donna come angelo del focolare. Per cui con la trappola del biologismo dobbiamo stare molto attenti. Poi la biologia è difficile negarla, perché insomma si nasce in un certo modo, c’è una sessualità di un certo tipo etc.

Il punto è che sulla questione familiare a mio parere è ancora valido quello che dissi alla prima riunione, scusate se mi cito non è elegante ma in questo caso ha un valore storico, quando discutemmo molto – cioè litigammo – sul manifesto con le due persone abbracciate dove un gruppo diceva “tu riproponi la famiglia borghese che si abbatte non si cambia” e io dicevo “questa roba con la famiglia borghese tradizionale non centra niente”. Perché noi dobbiamo proporre una nuova idea familiare basata sulla solidarietà di massa, sull’amicizia amorosa cioè sulla “parentalità affettiva”. Questa è una frase che purtroppo mi è venuta in mente solo negli anni ’90 perché se mi veniva in mente prima, la usavo prima. Cioè i parenti veri sono quelli a cui va bene, perché tutti sanno che ci sono amici che sono molto più importanti dei parenti di sangue. Allora noi dobbiamo promuovere una parentalità affettiva al di là di quella biologica. E ragazzi più rivoluzionario di così mi dite cosa c’è, dal punto di vista umano?

Per cui questa roba che chiunque proponga un’altra idea di famiglia è servo della forma tradizionale di famiglia è una cosa che mi ha sempre fatto arrabbiare moltissimo. Perché in realtà più sovversivo della perinatalità affettiva non ci vedo nient’altro. Se proprio la vogliamo mettere in senso ideologico, cosa che non mi frega nulla. Cioè definire una strategia in termini ideologici francamente a me non frega nulla.

Mi interessa definire una roba che ho sempre trovato essenziale da un punto di vista strategico, filosofico e umano cioè il fatto che noi ci battiamo anche per noi stessi, non è che noi militanti facciamo le cose per gli altri. Le facciamo per gli altri e le facciamo per noi. Perché noi cambiando noi stessi cambiamo l’umanità, cambiamo la storia, anche la nostra storia. Allora dire che il mondo deve essere basato sulla parentalità affettiva più che sui legami di sangue è una cosa straordinaria, veramente rivoluzionaria se la vogliamo buttare in ideologia.

E questo significa riconoscere anche sul piano legislativo perché la solitudine e l’atomizzazione crea quella solitudine che abbiamo potuto vedere in maniera drammatica oggi in tempi di COVID con le persone che muoiono da sole. Le fosse comuni perché nessuno rivendicava il deceduto, abbiamo visto le immagini dagli Stati Uniti, Cina e dall’Iran, addirittura dall’Iran riprese dal satellite. Ma guardate ragazzi c’erano anche in Italia, in maniera più elegante a Milano con sessantuno persone seppellite in un campo croci con il nome perché non c’erano familiari. Poi molte persone arrivano ad avere sessanta, settanta anche cento e non hanno più nessuno. Allora se noi riusciamo a creare una rete di solidarietà, di affettività, di amicizia duratura, permeante e di reciproco aiuto, è quella la vera rivoluzione.

Ecco perché io sostengo che il futuro dell’associazionismo sta nei servizi alla persona, che sono difficilissimi da fare perché chiedono un sacco di soldi. Ma che dobbiamo fare. Soprattutto adesso che questa orrenda malattia ha creato il blocco dell’economia, quindi sta creando nuove povertà, si parla di dieci milioni di persone che sono entrate improvvisamente nell’area della povertà e dell’indigenza. Noi questo dovremmo fare. Al cassero di bologna si presentano delle persone che dicono: non ho più niente, non ho più una casa, non ho più il lavoro, non so come mangiare e non so dove dormire. Noi viviamo in un mondo delle volte dorato dove pensiamo che tutti stiano bene e l’unico problema sia quello di farsi accettare come persone trans, omosessuale o lesbiche etc. Ma ci sono una marea di persone che hanno problemi a vivere materialmente.

E allora consentitemi di dire una cosa che mi rende particolarmente orgoglioso del circolo di Bologna, che ha messo nel suo bilancio un capitolo sulle nuove povertà con alcune migliaia di euro per aiutare delle persone. L’ex presidente del Cassero, credo anche l’attuale, quando si presentavano casi di questo tipo li accompagnava personalmente al dormitorio pubblico pagato dal cassero.

Noi viviamo in un mondo di sofferenza, dobbiamo incidere con il bisturi su questa sofferenza cercando di dare risposte positive. Questo è il nostro futuro. E guardate, non è mica una cosa semplice. È una cosa molto complicata, richiede la disponibilità di un sacco di risorse. Uno degli elementi di debolezza storica del movimento LGBT italiano è stato la questione delle risorse. La nostra difficoltà a fare foundrising, che adesso si fa su internet.

Però la partita ce la giochiamo lì: nuove povertà, solidarietà con chi sta male, intervento diretto sull’assistenza alla persona, recupero dei fondi, capacità di essere solidali e creazione di una nuova idea di famiglia basata sulla parentalità affettiva. È quello il futuro e secondo me dovrebbe essere la strategia del movimento LGBT a partire dal punto di vista legislativo su una riforma radicale del diritto di famiglia, che questa volta comprenda tutti, perché la riforma è del ‘75 e quindi la riforma ha 45 anni, un po’ vecchiotta. E per allora fu una rivoluzione, e adesso questa rivoluzione la dobbiamo completare con il nuovo diritto di famiglia.

 

Eva

Direi proprio di sì. Ti ringrazio Franco di questa espressione “parentalità affettiva” che secondo me può essere da detonatore a diverse riflessioni. Chiuderei qui, ti ringrazierei per la tua disponibilità.

Vorrei chiudere con una citazione di un sufista persiano

ero intelligente e volevo cambiare il mondo, ora che sono saggio vorrei cambiare me stesso

 

Grazie.

 

 

 

Intervista Grillini

 

Eva

Buongiorno a chi ci sta seguendo da casa, siamo Schiara, ovvero la parte più apollinea del comitato Padova Pride, oggi abbiamo un altro ospite con noi per la nostra rubrica “Voci FUORI dalla Storia”. “Voci FUORI dalla Storia” è un raccoglitore, un album di storie dimenticate, testimonianze, voci fuori campo, un po’ rivoli dimenticati della vita della comunità LGBTI+.

Abbiamo organizzato questa serie di interviste dove il tono, come avrete capito, sarà informale, ma non per questo meno serio di un incontro tra amiche che si incontrano per farsi i bigodini a vicenda. Ciò che ci ha spinto a fare tutto ciò è sicuramente una grande sete di sapere antropologico, dall’altra anche una lodevole voglia di cazzeggio intellettuale.

Un’ultima avvertenza per chi ci segue da casa, tutti i promotori e tutte le promotrici di “Voci FUORI dalla Storia” sono ancora single.

Danilo a te la parola, iniziamo la nostra intervista.

 

Danilo

Oggi abbiamo con noi Franco Grillini, fondatore e presidente onorario di Arcigay Nazionale e uno dei rappresentanti più importanti della “stagione dei diritti” del movimento LGBTI+.

Con lui analizzeremo il primo periodo degli anni ’80 che coincide con il suo primo periodo di attivismo ed è anche il periodo storico in cui l’AIDS arriva nei media e negli ospedali italiani.

Ribadiamo da subito che non vogliamo fare confronti azzardati tra l’epidemia di oggi e di ieri, ma vogliamo capire come è stata vissuta e affrontata dai protagonisti di quel periodo.

Franco Grillini inizia la sua militanza nel 1982 con l’inaugurazione della sede del circolo di cultura omosessuale ’28 giugno, ossia l’attuale Cassero di Porta Saragozza.

Come ricordato, nel 1985 fonda Arcigay Nazionale e ne diviene presidente con il congresso di Rimini del 1987.

Questo è un periodo particolare, abbiamo ricordato che arriva l’AIDS e ci si accorge ben presto che servivano forze e informazioni concentrate sul tema per cui Grillini nell’ 87 fonda il LILA (Lega italiana per la lotta contro l’AIDS).

Nello stesso anno, fuori d’Italia a New York nasce ACT UP, associazione per la lotta contro l’AIDS dalle modalità certamente più forti e radicali del LILA in Italia

Un anno dopo Grillini fonda il N.O.I. (Notizie Omosessuali Italiane) che più tardi diventerà Gaynews.it

Ma non possiamo non ricordare che alla militanza da attivista Grillini affianca una carriera istituzionale. Che lo vede arrivare nel 2001 nella camera dei deputati nella lista dei DS, Democratici di Sinistra diventa il primo onorevole gay dichiarato d’Italia.

Guardandosi indietro nella sua storia lui disse:

Lo abbiamo cambiato lo stesso questo paese. I gay li menavano, si suicidavano. Ci sputavano addosso. Neanche adesso è un paradiso, ma i quindicenni gay ora lo dicono alla mamma. Abbiamo fatto una rivoluzione civile non violenta e qualcuno non se ne è neanche accorto

 

Per cui, per iniziare volevamo chiederti Franco come stai e come stai superando la quaranta?

 

Franco

Direi che sono a casa come tutti, e ne sto approfittando sia per leggere cose che avevo rimandato da lungo tempo e sia per sistemare la burocrazia che ci pervade e che ci porta via un sacco di tempo, che però bisogna fare. Devo dire che abbiamo appena fatto il congresso telematico – perché non si poteva fare altrimenti – dell’associazione che presiedo che si chiama Gaynet, che è l’associazione dei giornalisti omosessuali italiani che si occupa di informazione e concorsi di formazione per giornalisti e altre lodevoli iniziative.

Quindi diciamo che è un periodo abbastanza fruttuoso. Mi sto pure abituando. Tutto sommato stare a casa e fare un sacco di cose che bisognava fare, alcune delle quali anche piacevoli come per esempio cucinare non mi dispiace. Diciamo che la strategia più utile, secondo me, è trasformare di necessità virtù in modo tale che il tempo non scorra inutilmente e che sia utilizzato al meglio. Quindi devo dire che in questo momento sto benino, nonostante tutti i miei problemi di salute che sono nati, e spero ovviamente che il lockdown finisca presto per tornare a fare delle belle passeggiate e soprattutto per fare iniziative in pubblico. Devo dire che questo periodo ha accelerato un processo positivo di Digitalizzazione del paese, che era un po’ in ritardo, e che ha posto tutta una serie di problemi come quello di considerare internet come un diritto (la Finlandia lo ha messo in costituzione) e di coprire le zone bianche che sono tuttora scoperte in Italia. Diciamo che potendolo evitare tutti quanti noi avremmo potuto evitare questo periodo, Non potendolo evitare proviamo almeno di trasformarlo in una cosa positiva.

 

Danilo

Ho ricordato che la tua prima iniziativa da attivista è stata l’inaugurazione dell’attuale Cassero, ci puoi raccontare uno spaccato di quel momento storico?

 

Franco

Fu un momento molto interessante e molto bello. Tenete conto che tutte le cose che noi facemmo allora venivano fatte per la prima volta. Quindi siamo stati un po’ pionieristici perché è vero che il movimento è nato nell’aprile del ’72 con la nota manifestazione di contestazione del congresso dei sessuologi a Sanremo, ma è anche vero che purtroppo negli anni ‘70 non aveva sfondato a livello di massa.

Erano rimasti tutti grupponi abbastanza piccoli con attività assolutamente meritoria, perché anche loro lo facevano per la prima volta. Io facevo parte negli anni ‘70 di un gruppetto della sinistra rivoluzionaria che si è sciolto nell’84, che aveva al suo interno anche il gruppo gay essenzialmente maschile, perché le donne omosessuali allora militavano nel movimento femminista separatista. E poi arrivò il cassero di Bologna che adesso non è più nella sede originaria che aveva svariati problemi strutturali per cui è stato trasferito nel 2002 nell’attuale cassero che si chiama Salara, che è un altro monumento nazionale, molto bello. Qualcuno di voi lo conoscerà. Però il 28 giugno ‘82 noi inaugurammo il cassero di porta Saragozza, tra due anni saranno 40 anni.

A proposito di anniversari, quest’anno è un anno di anniversari perché proprio nel marzo dell’85 facemmo la prima parte del congresso che portò alla fondazione di Arcigay nazionale al cassero, per cui sono 35 anni, e proprio oggi ricorrono 30 anni dell’inaugurazione del monumento agli Omosessuali sterminati nei campi di concentramento nazisti. L’unico monumento a terra che esiste a tutt’oggi in Italia: sono state inaugurate diverse targhe. La più importante delle quali è quella della risiera di San Saba, inaugurate con la presenza e collaborazione del circolo Arcigay di Trieste. Però a terra al momento rimane quello di trent’anni fa che fu un’inaugurazione molto emozionante perché erano presenti il console generale in Germania, l’allora sindaco di Bologna Renzo Imbeni e moltissimi militanti lgbt, per fortuna oggi quasi tutti vivi che possono testimoniare l’emozione di quel giorno.

Ma anche l’inaugurazione otto anni prima del cassero fu un momento straordinario perché fu la prima sede che un comune dava in affitto ad una organizzazione omosessuale.La prima in assoluto in Italia, poi che sede. Un piccolo castello su mura del 1200 alle porte di bologna, la più bella delle porte di bologna. E fu caratterizzata da un corteo che a mio parere a tutti gli effetti deve essere considerato un pride.

Oggi si discute quando è stato il primo Pride ufficiale. C’è un accordo per dire che il primo Pride è stato a Roma a Campo dei fiori. Ma la mio opinione che pria sono state diverse manifestazioni che sono state dei Pride a tutti gli effetti come quella dell’inaugurazione del cassero. Era 28 giugno, era il giorno del Pride. Il Pride in giro per il mondo era già una manifestazione consolidata. Dopo quello del 1970 a New York, perché noi consideriamo la rivolta di Stonewall come l’inizio un po’ di tutto, una scintilla. Però il primo Pride ufficiale organizzato fu quello dell’anno dopo che presentò svariati problemi. Ho avuto piacere e onore di partecipare l’anno scorso in carrozzina ahimè ma c’era chi spingeva. Alla parata di New York per il cinquantesimo anniversario, ho avuto l’occasione di partecipare perché bisognava fare le riprese per un film che stanno facendo sulla mia vita e non potevano mancare ovviamente le riprese dei 50 anni da Stonewall.

 

Tornando al Cassero, quella inaugurazione è stata un po’ la scintilla perché tutti gli altri gruppi gay potessero fare una richiesta dei locali per il proprio comune.

 

Eva

Franco hai qualche aneddoto su questo? Se non sbaglio forse sei stato tu che hai scritto il volantino che diceva “Alfabeto dell’amore”. Espressione forte secondo me.

 

Franco

La cosa buffa fu la riunione del’8 giugno in una scuola dismessa per ragazze che facevano l’avviamento. Sapete che c’era questo specie di diploma professionale che però non permetteva poi l’accesso a gradi superiori di istruzione, che si chiamava appunto avviamento. Quella scuola era chiusa, il comune ce la diede per organizzare l’evento.

Io partecipai alla prima riunione della mia vita anche se poi avevo organizzato diverse cose sui diritti civili ma come dirigente di partito e non come militante lgbt. Quel giorno fu il giorno del mio coming out. Quando arrivai bisognava fare tutto: dal volantino al manifesto, dallo slogan allo striscione. Siccome io avevo già maturato una grossa esperienza politica alla fine finì per dare il mio contributo importante a tutte queste cose. Per esempio, lo striscione di apertura era in bolognese, l’unico a sapere il dialetto bolognese la dentro ero io. Ormai siamo rimasti in pochi a parlare il dialetto qui a Bologna.

 

Eva

Cosa diceva lo striscione in bolognese, scusami?

 

Franco

Riportava un vecchio pregiudizio bolognese scritto in bolognese. Che era un po’ la strategia di quel tempo cioè prendere il pregiudizio, riproporlo per cercare di rovesciare il significato.

L’è mei un fiol leder che un fiol buson”, ossia “Meglio un figlio ladro che omosessuale.”

Nessuno ovviamente oggi dice una cosa del genere, ma fu molto apprezzato per l’Autoironia. Fu apprezzatissima quella cosa lì: mostrava un manifesto che non era malmostoso, che era un movimento ironico, gentile che faceva le manifestazioni per cambiare le cose ma non in maniera violenta o depressiva. Quindi fu apprezzatissimo perché lo trovarono tutti molto divertente e anche un monito, perché sconfiggere il pregiudizio anche dei vecchi slogan popolari era uno dei nostri compiti.

In quella manifestazione che partì da piazza nettuno a Bologna dove c’è il comune e la statua del Nettuno, sulla quale venne scritta poi una zirudèla che sono poesie in dialetto bolognese, un po’ volgarotte. Fu messa in una cartolina in vendita nei tabaccai, con la statua di bronzo che come sapete è molto alta e molto grande che era raffigurata con delle mutande di latta.

Questa storia delle mutande di latta è una cosa antica. Per esempio, la scrive Engels a Marx, che erano un po’ omofobi i due. Perché pochi sanno che il primo movimento lgbt nacque a Berlino alla fine dell’800. Ed Engels scrive questa lettera dicendo “se vincono questi, dovremmo indossare tutti le mutande di latta”. Noi abbiamo sempre detto che nessuno correva rischi di questo tipo perché anche i gay scelgono: non è che il primo maschio che passa per strada gli si salta addosso. Ma queste sono le fantasie degli eterosessuali, forse un modo per manifestare il loro desiderio inconsapevole in forma di aggressività.

Allora facemmo questo corteo che era composto da poca gente. Ora siamo abituati alle grandi masse, al fatto che i pride sono di fatto manifestazioni di popolo a cui partecipano mezza città, moltissimi eterosessuali, soprattutto giovanissimi. E devo dire che da questo punto di visto soffriremo molto quest’anno a non poter fare i Pride in strada. Allora però eravamo in pochi, saremo stati se va bene centocinquanta. Però è significativo perché c’erano in quel momento tutti i gay visibili che c’erano in Italia, c’era qualche donna, c’erano molte trans, che allora attenzione non si chiamava così. Perché quando cambiano gli anni, cambia ancora il linguaggio: allora le persone transessuali si chiamavano travestite. Tanto che a Bologna c’era il C.T.B. Collettivo Travestiti Bolognesi e anche se vedete il più noto film che c’è sul tema, che è “Rocky Horror Picture Show”, i protagonisti si chiamano “transvestite”. Uno dei film passati alla storia del cinema, proiettato milioni di volte, visto moltissime volte da tutti noi. Lo spettacolo è rimasto a Londra per tanti anni nei teatri ed è una sovversione a commedia.

 

A proposito di commedia, prima citavate ACT UP che è stata fondata da Larry Kramer che ha scritto la commedia più famosa sul tema dell’AIDS che è “The Normal Heart”, il cui testo è stato pubblicato in Italia con la mia prefazione. Cosa di cui sono molto onorato. Ci siamo sfiorati a New York, perché al mattino c’era la manifestazione dell’ala radicale del movimento LGBT americano a Central Park alle 9 del mattino di domenica mattina 9 giugno. Eravamo ancora a letto perché eravamo andati a letto tardissimo ovviamente, tant’è che non ci eravamo andati. E mi hanno detto che c’era un migliaio di persone, tra cui Larry Kramer.

 

Danilo

E all’epoca avevate rapporti con ACT UP? Cioè vi conoscevate tra realtà LGBT?

 

Franco

Ci siamo conosciuti in maniera un po’ vivace, diciamo così, per la manifestazione del congresso mondiale per l’AIDS del ’91 a Firenze.

 

Danilo

Perché vivace?

 

Franco

Vivace perché volevano buttare la vernice sui monumenti di Firenze e io gli dissi che in Italia decidevamo noi cosa fare. Cioè siete a casa nostra, noi non vi diciamo cosa fare a New York e a Parigi, perché ACT UP era attiva soprattutto in queste due città, e gli dicemmo che non era proprio il caso, che dovevano rispettare la volontà dei gruppi locali. E siccome insistevano, l’argomento fondamentale fu: “voi tra qualche giorno ve ne andate, noi rimaniamo qui. E cosa facciamo, rimaniamo a pulire la vostra vernice sui monumenti di Firenze?”. E quindi non lo fecero.

Cioè magari a New York non ci sono monumenti e potevano buttare la vernice dove volevano, in qualche grattacielo magari. A Firenze no!

 

Danilo

Abbiamo ricordato prima il fatto che ACT UP e le associazioni penso Arcigay avevano delle modalità molto diverse, e anche il fatto su come le manifestazioni cambiano negli anni.

Cioè se pensiamo alle manifestazioni che avvenivano negli anni ’70 si faceva un putiferio nella città, mi chiedo: non c’è stato in qualche modo una normalizzazione delle manifestazioni e delle richieste? Penso anche al concetto dell’alfabetizzazione dei sentimenti, in qualche modo si è passato dal parlare di sesso all’affettività, in qualche modo non ci siamo un po’ normalizzati?

 

Franco

Beh, questo passaggio dalla liberazione sessuale alla rivoluzione affettiva è un passaggio che mi vede come massimo responsabile, nel senso che addirittura io lo dissi alla prima riunione in cui ho partecipato. Sì, era una riunione dove filò tutto liscio tranne che per la scelta del manifesto. Il volantino che scrissi io venne approvato in pochissimo tempo, lo slogan della manifestazione e via dicendo. Il manifesto, che ho qui attaccato di fianco a me, è una bellissima fotografia, un manifesto anche moderno, c’è chi lo vede e dice potrebbe essere stampato tutt’oggi, anche con la grafica, e riprendeva due ragazzi abbracciati seduti di fianco al pozzo del cortile di Palazzo Renzo a Bologna, in pieno centro, davanti a piazza Nettuno nei pressi di piazza Maggiore.

E dissero: “Ma perché questa foto?” e io dissi: “Perché è finita l’epoca della scorribanda sessuale perché ormai il sesso ognuno se lo può procurare come vuole, cioè la rivoluzione sessuale aveva vinto”. Perché guardate il vero problema, la verrà necessità, il vero bisogno era la liberazione del desiderio del sesso perché prima degli anni ‘70 c’era una repressione pazzesca, c’era un familismo atroce. Il sesso omosessuale maschile ( la storia della sessualità lesbica è diversa, c’è un bel libro che parla di questo) era quello del sesso rubato nei cinema, nei luoghi di battuage etc. Però questo processo, secondo la mia opinione di allora, si era politicamente concluso cioè non era più una situazione in cui più scopate ti facevi e più eri rivoluzionario. Bisognava passare ad altri obiettivi con un’altra piattaforma con un’altra cultura. Quindi proponiamo due ragazzi abbracciati perché questa è la politica futura del movimento.

Scoppiò il finimondo alla riunione dell’8 Giugno 1982. Si finì alle 5 del mattino ma io tenni duro, facevo il sindacalista in quel momento, ero abituato alle trattative, a stare in piedi tutta la notte, non avevo nessun problema, e siccome le cose dovevano essere approvate all’unanimità, io aspettai finché i contrari non se ne andarono. Questo manifesto venne approvato alle 5 del mattino all’unanimità e fu attaccato in tutta Bologna.

Ebbe un successo enorme, chiunque venne a quella manifestazione ne voleva una copia, e vi dirò di più, di recente siamo riusciti a recuperarlo grazie al fatto che il fondatore del Cassero che si chiama Samuel Pinto, un esule cileno, uno di quelli scappati dall’ambasciata italiana così come descritto dal film di Nanni Moretti, Santiago, che vi invito a vedere perché è un bel film, su una vicenda che è stata importantissima per la politica di tutto il mondo, quel colpo di stato determinò un cambio della politica radicale anche in Italia. Lui venne in Italia da esule e a bologna fondò il circolo di Bologna, che inizialmente si chiamava Collettivo di liberazione sessuale (CLS) poi si chiamò collettivo frocialista Bolognese, perché ospitato da una sede socialista, E poi prese il nome di circolo di cultura omosessuale 28 Giugno, e adesso circolo Arcigay Cassero. Come vedete anche nel corso della storia c’è un’evoluzione dei nomi.

E quindi è lì che nasce il cambio della strategia del movimento gay italiano, che fino a quel momento era una strategia di carattere culturale, cioè l’idea è che la rivoluzione si facesse con la cultura e non con la politica. Fino ad allora il movimento non si era occupato di politica, invece da allora in poi divenne politico in senso proprio, nel senso che ha una piattaforma, degli obiettivi, una sua leadership, una sua configurazione più comprensibile al livello popolare.

Non è una questione di essere più o meno rivoluzionari, è una questione di un’altra strategia. Tant’è che il riconoscimento dell’affettività omosessuale è diventato il vero fumo negli occhi del clericalismo fascista e dei reazionari di ogni risma che ci hanno sempre accusato di minare alla radice della società attraverso la messa in discussione dell’organizzazione familiare tradizionalista

 

Gabriele

Volevo collegarmi a questo, nell’82 questo passaggio da un attivismo Radicale a una stagione più politica che poi porterà alla politica parlamentare.

 

Grillini

Io la definirei una Stagione rivendicativa.

 

Gabriele.

Nella scorsa intervista abbiamo intervistato Porpora Marcasciano. Come ci ha raccontato nell’intervista, magari l’aver portato questa rivendicazione nel parlamento e nelle sedi più istituzionali, ha portato ad un delegare, chiedere agli altri che facciano qualcosa per noi. Questo dibattito non è finito nell’82, continua ancora oggi tra associazioni più forti come Arcigay, e il gruppo più radicale. Cosa ne pensi?

 

Grillini

Oggi secondo me questa contrapposizione è solo nominale, non c’è più, poi magari mi posso sbagliare perché anche i gruppi trans, la mia carissima amica, regina di Reggio, e tutte le trans storiche con cui ho collaborato nel corso di questi decenni, hanno appena fatto una conferenza stampa dove propongono una nuova legge quindi mi si deve spiegare quale è la differenza tra la politica Arcigay e questa politica. Quindi diciamo che io ho l’impressione che questo radicalismo sia solo nominale perché poi tutti hanno a che fare con le istituzioni, tutti chiedono soldi a comuni, province e regioni, giustamente dal mio punto di vista perché si finanziano le organizzazioni religiose, noi sappiamo il gigantesco fiume di denaro che passa tra lo stato e i clericali, che spesso e volentieri sono omofobi, ora un po’ meno per fortuna, anche lì la nostra azione ha avuto un certo peso.

Beh, non si capisce perchè non dovrebbe essere finanziata la nostra azione, soprattutto quando la nostra azione di occupa di servizi alla persona perché mi si deve spiegare quale è la differenza tra noi che ci occupiamo e ci dobbiamo occupare di servizi alla persona, e questo secondo me è il vero futuro delle organizzazioni LGBT, la vera differenza con l’82, allora prima una stagione rivendicativa, molti di quei punti sono stati portati a casa, manca la legge sull’omofobia ovviamente. adesso abbiamo un parlamento su tutte altre cose impegnato però in questo parlamento, in questo momento esiste una maggioranza politica che a parole condivide l’idea che sia giusto che sia fatta una legge contro l’omofobia così come è stata fatta in tutta la vecchia Europa. facciamo le stesse cose

Poi io e Porpora siamo come sorelle, c’è un rapporto personale assolutamente stretto e affettuoso, però di fatto facciamo la stessa politica, poi ognuno si definisce come gli pare Io sono nato incendiario e dovrei morire pompiere, invece sono nato incendiario ma muoio rivoluzionario, ma dal mio punto di vista. Perché la rivoluzione non si fa come dice un padovano, vostro corregionale, con il comunismo queer sovvertendo l’eterosessualità, cosa ce ne frega di sovvertire l’eterosessualità? Noi conviviamo con gli etero come loro convivono con noi perché noi siamo perché ognuno abbiamo il diritto alla propria sessualità e identità senza problemi. Diciamo che oggi il discorso rivoluzionario-riformista, rivoluzionario – integrazionista, rivoluzionario -riformista si è spostato più sull’ideologico che sul pratico, perché sul piano pratico da qualsiasi parte ti giri facciamo tutti le stese cose. Almeno ci proviamo.

 

Danilo

In chiusura, volevo chiedere di un aneddoto. Nella scorsa intervista Porpora ci ha raccontato come un libro che l’ha accompagnata nel suo periodo di liberazione e coscienza è stato un libro di “Altman”. Cercando informazioni su di te abbiamo trovato questo aneddoto stupendo di “porci con le ali”. Ce lo puoi raccontare?

 

Eva

Come ti ha cambiato “porci con le ali”?

 

Franco

Beh, il libro di Altman è successivo a “porci con le ali”, anche se ho letto di recente la sua introduzione alla riedizione del suo libro che era “Omosessualità e liberazione”. E fu pubblicato da un editore australiano, Altman era australiano anche se poi ha abitato per lungo tempo negli Stati uniti a New York. Il libro è del ’72, quando l’omosessualità in Australia era ancora illegale, e lì facevano i pride. E prendevano un sacco di botte ogni anno. Persino l’anno in cui l’omosessualità fu decriminalizzata. In Australia esiste un bellissimo film, di cui non ricordo il titolo, sulla storia del movimento gay australiano. Ve lo consiglio perché è davvero sintomatica di molte storie anche fuori dall’Australia. Dove li menavano anche l’anno in cui l’omosessualità fu decriminalizzata.

Finalmente i laboristi erano arrivati al potere. Perché sono stati democratici e socialisti al potere a cancellare le leggi contro l’omosessualità. In Europa negli anni ‘60 era illegale quasi dappertutto e furono i socialdemocratici a decriminalizzare l’omosessualità in quasi tutta l’Europa.

Noi in Italia non abbiamo mai subito aggressioni dalla polizia durante i pride. In Australia li hanno menati per anni e si sono fatti menare per anni, arrestati, picchiati nelle carceri. Molte storie LGBT sono storie di sofferenza e patimento anche pesante.

 

Altman è del ’72 ma arriva più tardi, secondo me arriva dopo “porci con le ali”, che è del 76. “porci con le ali” fu un libro shoccante. Pensate che ne fu venduto un milione e mezzo di copie legali e centocinquemila contraffatte a Napoli. Una stamperia napoletana si mise a stamparlo clandestinamente al mercato nero. Si può dire che lo abbiano letto milioni e milioni di persone, perché poi anche io lo ho prestato a tanti amici.

E ho la dedica di Lidia Ravera, che ho visto di recente e le ho detto “ma ti ricordi che mi hai scritto la dedica sul libro?”. E mi ha pure chiesto di scrivere un seguito.

 

Eva

Con che titolo?

 

Franco

Il seguito? Non ne ho idea, ci potevamo sbizzarrire. Potevamo mettere barboncino con le ali dato che molti gay vanno in giro con il barboncino.

 

Danilo

Appropriato

 

Franco

“porci con le ali” fu davvero una rivelazione, anche perché c’era un personaggio centrale bisessuale che era l’intellettuale professore universitario che era definito “l’intellettuale con sei giornali, sei sotto il braccio”, praticamente io. Ed era quello che scopava a destra e sinistra. Dal punto di vista sessuale, gli anni ’70 furono un periodo molto brillante. Ci fu una grande festa, tant’è che molti dicono “Maledizione all’AIDS mi sono perso la festa”

 

Vedete che poi con Porpora abbiamo molte cose che condividiamo. Per esempio, io sostengo che “Omosessualità e liberazione” di Altman sia stato il vero libro che ci abbia aiutato a capire in che direzione dovevamo andare. Perché il libro di Mario Mieli, di cui è stata fatta l’edizione degli scritti da un editore padovano tra l’altro, a mio parere non aiutava molto. Io non sono mai stato un seguace di Mario Mieli.

 

Danilo

Perché?

 

Franco

Perché Mario Mieli ci propone una idea di liberazione che è un dover essere. Se vuoi essere davvero liberato devi fare così e così. Adesso non scendo nei particolari, perché l’elemento centrale viene sempre censurato nella sua proposta. Come è stato censurato anche negli scritti recenti. E poi lui alla fine della vita disse che era più importante l’ambiente e la pace di tutto il resto”.

Quindi lui diceva se vuoi essere liberato devi fare come dico io. Io ho sempre detto No. Gli individui devono potersi liberare come gli pare. Questa è la vera liberazione e la vera democrazia. Cioè la libertà di costruirsi un percorso di vita secondo le proprie inclinazioni, secondo le proprie idee, secondo i propri desideri, secondo la propria identità, secondo quello che uno si sente. Non una ricetta per la liberazione, io non ho bisogno di ricette di liberazioni, ho bisogno della libertà politica per poter fare la liberazione come meglio credo, nell’ambito della legalità ovviamente.

Invece condividevo in toto il libro di Altman. Mi fa piacere che anche Porpora dica che il libro di Altman sia stata la sua guida.

 

Eva

Un’idea che ci siamo fatti in queste due puntate è che all’inizio abbiamo una rivoluzione sessuale negli anni’70, dopo una sorta di normalizzazione della sessualità e arriva l’Alfabetizzazione emotiva e relazionale di cui hai parlato prima, e di cui sei stato il primo fautore del movimento gay. E ora? Quali sono gli obiettivi dell’associazione Arcigay? Quali sono le nuove frontiere?

Un tema che mi piace sempre mettere sul tavolo è quello su cosa è la famiglia, nel senso che i nostri opposti conservatori e sovranisti hanno una idea di famiglia, assolutamente omofoba e molto rigida. Noi non abbiamo ancora una risposta ben chiara e confezionata. Secondo me dire “La famiglia è dove è amore” è un po’ edulcorato e poco sostanzioso.

 

Franco

Più che edulcorato, è un po’ semplicistico dire solo così. Perché dove c’è amore, ragazzi, visto che è una merce rara è bene che ci sia dappertutto.

La frase che ritengo decisiva sul tema della genitorialità omosessuale è “i figli sono di chi li cresce”. Quindi contro un biologismo che qualcuno ha riproposto anche in una parte del mondo lesbico, con la rivalutazione del ruolo della madre. Noi contestavamo il biologismo e adesso ce lo ritroviamo riproposto addirittura all’interno del movimento. Figuramici! Il destino della donna come madre. Ma quando mai? Perché l’identificazione della donna come madre è poi l’identificazione della donna come angelo del focolare. Per cui con la trappola del biologismo dobbiamo stare molto attenti. Poi la biologia è difficile negarla, perché insomma si nasce in un certo modo, c’è una sessualità di un certo tipo etc.

Il punto è che sulla questione familiare a mio parere è ancora valido quello che dissi alla prima riunione, scusate se mi cito non è elegante ma in questo caso ha un valore storico, quando discutemmo molto – cioè litigammo – sul manifesto con le due persone abbracciate dove un gruppo diceva “tu riproponi la famiglia borghese che si abbatte non si cambia” e io dicevo “questa roba con la famiglia borghese tradizionale non centra niente”. Perché noi dobbiamo proporre una nuova idea familiare basata sulla solidarietà di massa, sull’amicizia amorosa cioè sulla “parentalità affettiva”. Questa è una frase che purtroppo mi è venuta in mente solo negli anni ’90 perché se mi veniva in mente prima, la usavo prima. Cioè i parenti veri sono quelli a cui va bene, perché tutti sanno che ci sono amici che sono molto più importanti dei parenti di sangue. Allora noi dobbiamo promuovere una parentalità affettiva al di là di quella biologica. E ragazzi più rivoluzionario di così mi dite cosa c’è, dal punto di vista umano?

Per cui questa roba che chiunque proponga un’altra idea di famiglia è servo della forma tradizionale di famiglia è una cosa che mi ha sempre fatto arrabbiare moltissimo. Perché in realtà più sovversivo della perinatalità affettiva non ci vedo nient’altro. Se proprio la vogliamo mettere in senso ideologico, cosa che non mi frega nulla. Cioè definire una strategia in termini ideologici francamente a me non frega nulla.

Mi interessa definire una roba che ho sempre trovato essenziale da un punto di vista strategico, filosofico e umano cioè il fatto che noi ci battiamo anche per noi stessi, non è che noi militanti facciamo le cose per gli altri. Le facciamo per gli altri e le facciamo per noi. Perché noi cambiando noi stessi cambiamo l’umanità, cambiamo la storia, anche la nostra storia. Allora dire che il mondo deve essere basato sulla parentalità affettiva più che sui legami di sangue è una cosa straordinaria, veramente rivoluzionaria se la vogliamo buttare in ideologia.

E questo significa riconoscere anche sul piano legislativo perché la solitudine e l’atomizzazione crea quella solitudine che abbiamo potuto vedere in maniera drammatica oggi in tempi di COVID con le persone che muoiono da sole. Le fosse comuni perché nessuno rivendicava il deceduto, abbiamo visto le immagini dagli Stati Uniti, Cina e dall’Iran, addirittura dall’Iran riprese dal satellite. Ma guardate ragazzi c’erano anche in Italia, in maniera più elegante a Milano con sessantuno persone seppellite in un campo croci con il nome perché non c’erano familiari. Poi molte persone arrivano ad avere sessanta, settanta anche cento e non hanno più nessuno. Allora se noi riusciamo a creare una rete di solidarietà, di affettività, di amicizia duratura, permeante e di reciproco aiuto, è quella la vera rivoluzione.

Ecco perché io sostengo che il futuro dell’associazionismo sta nei servizi alla persona, che sono difficilissimi da fare perché chiedono un sacco di soldi. Ma che dobbiamo fare. Soprattutto adesso che questa orrenda malattia ha creato il blocco dell’economia, quindi sta creando nuove povertà, si parla di dieci milioni di persone che sono entrate improvvisamente nell’area della povertà e dell’indigenza. Noi questo dovremmo fare. Al cassero di bologna si presentano delle persone che dicono: non ho più niente, non ho più una casa, non ho più il lavoro, non so come mangiare e non so dove dormire. Noi viviamo in un mondo delle volte dorato dove pensiamo che tutti stiano bene e l’unico problema sia quello di farsi accettare come persone trans, omosessuale o lesbiche etc. Ma ci sono una marea di persone che hanno problemi a vivere materialmente.

E allora consentitemi di dire una cosa che mi rende particolarmente orgoglioso del circolo di Bologna, che ha messo nel suo bilancio un capitolo sulle nuove povertà con alcune migliaia di euro per aiutare delle persone. L’ex presidente del Cassero, credo anche l’attuale, quando si presentavano casi di questo tipo li accompagnava personalmente al dormitorio pubblico pagato dal cassero.

Noi viviamo in un mondo di sofferenza, dobbiamo incidere con il bisturi su questa sofferenza cercando di dare risposte positive. Questo è il nostro futuro. E guardate, non è mica una cosa semplice. È una cosa molto complicata, richiede la disponibilità di un sacco di risorse. Uno degli elementi di debolezza storica del movimento LGBT italiano è stato la questione delle risorse. La nostra difficoltà a fare foundrising, che adesso si fa su internet.

Però la partita ce la giochiamo lì: nuove povertà, solidarietà con chi sta male, intervento diretto sull’assistenza alla persona, recupero dei fondi, capacità di essere solidali e creazione di una nuova idea di famiglia basata sulla parentalità affettiva. È quello il futuro e secondo me dovrebbe essere la strategia del movimento LGBT a partire dal punto di vista legislativo su una riforma radicale del diritto di famiglia, che questa volta comprenda tutti, perché la riforma è del ‘75 e quindi la riforma ha 45 anni, un po’ vecchiotta. E per allora fu una rivoluzione, e adesso questa rivoluzione la dobbiamo completare con il nuovo diritto di famiglia.

 

Eva

Direi proprio di sì. Ti ringrazio Franco di questa espressione “parentalità affettiva” che secondo me può essere da detonatore a diverse riflessioni. Chiuderei qui, ti ringrazierei per la tua disponibilità.

Vorrei chiudere con una citazione di un sufista persiano

ero intelligente e volevo cambiare il mondo, ora che sono saggio vorrei cambiare me stesso

 

Grazie.

 

 

 

 

Una nuova video-intervista del collettivo autonomo S.CH.I.A.RA per «Voci fuori dalla storia», questa volta abbiamo intervistato Franco Grillini, fondatore e presidente onorario di Arcigay Nazionale e uno dei rappresenanti più importanti della “stagione dei diritti” del movimento LGBTI+. Con lui abbiamo parlato degli anni ’80, della storicizzazione dell’AIDS e di politiche affettive. “Noi dobbiamo proporre una nuova idea familiare basata sulla solidarietà di massa, sull’amicizia amorosa cioè sulla “parentalità affettiva”. Cioè i parenti veri sono quelli a cui vuoi bene, perché tutti sanno che ci sono amici che sono molto più importanti dei parenti di sangue. Allora noi dobbiamo promuovere una parentalità affettiva al di là di quella biologica. E ragazzi più rivoluzionario di così mi dite cosa c’è, dal punto di vista umano?”

Buona visione!

Capitoli

17:20 Act Up

19:41 Rivoluzione affettiva e politica

31:00 Porci con le ali

37:37 Parentalità affettiva