Seleziona una pagina

Ma non sembri disabile!

Nel nostro immaginario, la vera disabilitàTM è certificata da una sedia a rotelle. O da una protesi, o almeno da un’invalidità riconosciuta!

Eppure, i dati ci dicono che questo è uno stereotipo bello e buono, perché la stragrande maggioranza delle persone con disabilità non utilizza, ad esempio, l’iconica sedia a rotelle.

E tante persone disabili non sono nemmeno riconosciute legalmente in quanto tali. Perché la disabilità è uno spettro di cui si vedono solo alcuni colori – e pure questi si vedono male.

Ma che ci azzeccano tra di loro disabilità, drag art, comedy e queerness?

Ce lo raccontano in questa serata Iinu The Monster (link esterno), weird drag creature dal 2022, ed Emma Della Libera (link esterno), nutrizionista plant based, comica di SIT-down comedy e attivista.

E il denominatore comune che risalta fin da subito è la voglia di essere VISTƏ. La possibilità, attraverso la loro arte e i social, di non nascondersi più, di incontrare persone interessate ad ascoltare e capire. Ma anche disposte ad essere disturbate, a stare nella scomodità di comprendere il proprio privilegio e attivarsi perché smetta di essere tale, la scomodità che si sente quando ci si sussurra “Anche io sono abilista e devo decostruirmi”.

Come dice Emma, “La disabilità non è unica, è un insieme di tasselli e nessuno di loro è indipendente”.

La disabilità di Iinu, ad esempio, non si vede per niente. In questo caso si parla di “disabilità invisibili”, anche se forse sarebbe più corretto parlare di disabilità – e, in questo caso, malattie – invisibilizzate. E se si parlasse di disabilità alle persone più piccole fin dalla scuola, se si facesse formazione nei luoghi di lavoro e di studio, sicuramente il lessico e le rappresentazioni contribuirebbero a renderle note, chiare e viste.

Ma fino a quel momento, ci pensa l’arte!

Iinu infatti ha la fibromialgia, malattia cronica invalidante -perché magari non si vede, ma, anche chi scrive, assicura che si sente! – che riesce a raccontare, rappresentar e rendere visibile attraverso la sua drag art: “Ho iniziato a fare drag art dopo la diagnosi come modo per esprimere la mia creatività. Io faccio il drag freak alternativo, e con un personaggio mostruoso, il drag mi permette di giocare con le mie difficoltà quotidiane, perché la fibromialgia non smette mai. È costante, un dolore di sottofondo in ogni fase della vita. E io lo trasformo in una luce creepy. La fibromialgia è invisibile, non la vedi ma c’è. Per me il drag è un’occasione per uscire per tre minuti dal mio dolore quotidiano”.

Anche Emma disturba e strappa veli di Maya, ma con la comicità… E la SIT-DOWN comedy! Che di base non esiste -un po’ come l’accessibilità nel mondo dell’arte! -, ma Emma se ne frega, si ribella e la fa esistere.

“La sit-down comedy è il ribaltamento della stand-up comedy, che è limitante già nel nome: con la mia disabilità motoria non si può salire sulla stragrande maggioranza dei palchi. Già riuscire ad esserci e non parlare di sé stessə con pietismo spiazza lo stereotipo, spiazza il pubblico”.

 

Dicevamo che la disabilità è uno spettro di cui si vedono pochi colori e male: ecco, la disabilità di Emma è visibile, comprovata e bollata dalla sedia a rotelle… E nonostante questo, il mondo non la vede.

Non la vedono le strade inagibili, i luoghi pubblici, i luoghi di cura, di cultura, di studio, di svago. 

In un mondo estremamente esclusivo e abilista, quanto è potente salire su un palco ed esibirsi in quanto comica, rifiutando lo schema fisso, pietistico e piatto del palco di Sanremo?

Quel palco lo distrugge, questa potenza disturbante.

Ma parliamo meglio di questo disturbo con le domande di Grazia allə ospiti.

 

Come rispondete a chi reputa la vostra narrazione non adatta o confortevole al pubblico?

Emma: È insito nella mia arte mettere a disagio. Io parlo di pulirsi il culo e per me è anche un modo per esorcizzare la propria difficoltà. La sit-down comedy è l’occasione per dire a tuttə le cose che mettono a disagio e che non sono confortevoli.

Iinu: Io non sento di giustificare nulla. È necessario che l’arte drag non sia così stereotipata (uomo omosessuale bianco con i tacchi, il trucco etc.). A volte ho dovuto giustificare il perché non faccio certe cose (tipo indossare super tacchi), così come lo scegliere di rappresentare un’arte drag non così nota come la monster. A volte tendo più a giustificare la mia presenza nel mondo Drag come ASAF che come una persona con la fibromialgia. La cura è politica, dobbiamo sostenerci noi sorelle.

 

Come avete vissuto nella vostra carriera artistica la disabilità, dal momento che chi ha una disabilità invisibile deve giustificarla e chi ce l’ha visibile va incontro a stereotipi?

Iinu: Io ho problemi con il medico di base e non solo. C’è resistenza nella medicina. Il mio problema è farmi credere dal personale medico.

Emma: Gli stereotipi spesso colgono di sorpresa lo spettatore medio. Io parlo di disabilità come variabile della vita. Finché non si arriva alla base in cui il nostro ingresso negli eventi è garantito, ovvero accessibile, non possiamo smettere di rivendicarla.

 

Parliamo di Creep Faces e Inspiration Porn.

Emma: Nell’industria audiovisiva il personaggio con disabilità è interpretato da attorə che nella vita vera non lo sono: una cosa che fa incazzare noi disabili è che non si è spesso informatə, non c’è stato un lavoro approfondito vero dietro lo studio del personaggio. Spesso ha lo stesso risultato della black face, una cosa ridicola, non autentica.

Iinu: La fibromialgia è talmente poco considerata che non c’è ispiration porn. A volte penso ai “got talent” che spesso portano all’estremo la cosa, tipo “uuuuh una persona autistica che suona il piano!!”.

Se io vado lì e dimostro il mio talento, voglio essere valutata per quello e non per il mio background.

Spesso la fibromialgia è associata a corpi non conformi in disagio sociale, cosa tra l’altro fuorviante ed errata. La fibromialgia colpisce tuttə. È fluttuante, ci sono dei momenti in cui non funzioni. Le persone con una disabilità invisibile sono tante, anche se non si direbbe.

 

Cosa cambiereste se poteste ridisegnare il mondo dell’arte?

Emma: Sentire prima il messaggio delle persone, avere più anima e meno sovrastruttura.

Iinu: Non dover più giustificare perché sono là, perché faccio una cosa, e chiedere anticipatamente le cose base -bagno accessibile, la presenza di una sedia in camerino, etc.

 

Quale consiglio dareste a chi vuole avvicinarsi all’arte?

FATELO!

 

Cosa chiedete a chi come noi organizza eventi?

Un’accessibilità di base, come rampe e bagni accessibili.

 

Durante questo incontro, Iinu ed Emma hanno detto due frasi che sarebbero da tatuarsi in fronte:

“La cura è politica”, e la disabilità non è unica, è un insieme di tasselli e nessuno di loro è indipendente”.

 

La cura è conoscere la realtà delle persone disabili -o con disabilità-.

La cura è organizzare eventi accessibili, ma anche vacanze accessibili nei gruppi di amichə.

La cura è non scegliere al posto di chi ha una disabilità.

La cura è imparare a fare rumore e non a silenziare il Sacrosanto Disturbo, la Sacrosanta Sacra Rabbia.

La cura è stare nella consapevolezza di essere abilistə, senza cercare rassicurazioni e assoluzione da persone disabili decostruite o in un percorso di decostruzione.

 

La cura è volere imparare la cura. E per farlo, bisogna accettare di sentire rumore, disturbo e scomodità.

 

E sarà un dirompente, potente, e bellissimo viaggio.

 

Articolo a cura di Francesca Pastorino, @marketing_etico (link esterno).

 

È davvero possibile separare l’arte dall’artista?

È davvero possibile separare l’arte dall’artista?

Sicuramente non lo è stato durante questa Rassegna Antiabilista, durante la quale, ancora una volta, arte e politica hanno dimostrato di essere profondamente legate e, insieme, rivoluzionarie.

Se dovessimo scegliere una parola chiave da cui partire per raccontare questa serata, sarebbe “immaginazione”.

Intanto, “L’immaginazione ritrovata”, libro di Alessandro Padrin (link esterno), persona autistica, artista e scrittore che si racconta intervistato da Beatrice, volontariə del Padova Pride.

Il suo (primo!) libro è un viaggio negli anni tra pensieri, fantasie, musiche e immaginazioni che sono sempre state fondamentali nei momenti di “fuga dai mali del mondo” e dei “fastidi quotidiani” -alla faccia dell’arte che non sarebbe politica!

Un assaggio del modo che Alessandro ha di vivere e descrivere le immagini ce lo dà parlando dei Talent, un gruppo di cinque artisti professionisti nello spettro esperti di marketing e comunicazione, grazie ai quali ha avuto l’ispirazione per questo esordio letterario.

“Una volta, sentendo parlare uno dei Talents, mi sono aperto, e si è sbloccata la chiave del baule della mia immaginazione e le mie fantasie si sono trascritte in questo libro”.

Quel baule pieno di creatività, che così spesso ci aiuta a gestire il rumore che fa il mondo, e che dalle 100 pagine previste, ne conteneva 250, inaspettate e dirompenti.

Stereotipo vuole che le persone autistiche siano prive di fantasia, creatività ed immaginazione, perché la rappresentazione è sempre stata questa: o geni della matematica, rigorosamente socializzati come uomini, o eterne vittime di infantilizzazione.

Ecco perché è così necessaria una rappresentazione realistica e reale, fatta da persone autistiche e capace di dare alla parola “spettro” l’importanza che merita, che informi, che non porti a generalizzare, ignorando parti fondamentali della vita di tante persone -e chissà, forse della propria.

Per Alessandro Padrin, l’arte è sempre stata fondamentale, e, fortunatamente, il contesto che aveva intorno gli ha permesso di coltivare il suo talento fin da piccolo, essendo stato sempre riconosciuto come un bambino estremamente creativo.

E quanto è utile parlare e sensibilizzare sull’importanza di una società antiabilista, e quanto sarà liberatorio vedere che, grazie a rappresentazione e divulgazione corretta, un giorno tutte le piccole persone nello spettro potranno crescere così, riconosciute e validate.

E nella sicurezza di poter creare come ci pare!

Infatti, quando crea, mica programma! Salvo la base per le commissioni, crea e basta, e possono passare anche mesi e mesi tra un’opera e l’altra.

Capita, quando l’arte non è performativa, ma espressione -e politica-, che si ascoltino i propri ritmi, anche quelli considerati troppo o -soprattutto- troppo poco serrati in una società neurotipica: e allora, che si tratti di dipingere una Cappella Sistina al giorno, o un quadro all’anno, si inizia ad ascoltarsi e ascoltare la propria creatività.

E proprio questo ascolto è stato alla base della seconda parte della serata, con l’attivista queer Nicky Daigoro (link esterno) -nonché artista e fumettista molto indipendente come ci tiene a sottolineare-, e Marta Telatin (link esterno), artista, pittrice e formatrice non vedente dall’età di tredici anni.

Anche qui l’immaginazione ha avuto un ruolo chiave: come immaginiamo l’euforia di genere? Come la rappresentiamo?

Intanto, Nicky inizia ricordandoci cosa sia, e soprattutto quanto sia ancora più pervasiva di quanto non immaginiamo, in quanto l’euforia di genere ha sicuramente un aspetto personale e intimo, ma anche sociale e collettivo che mette tutt3 nella condizione di dover fare qualcosa per cambiare l’ambiente in cui ci troviamo.

“È la sensazione di benessere data dall’allineamento tra la propria identità di genere ed espressione di genere e dalla possibilità di esprimere liberamente chi siamo”.

Una minority joy, come continua Nicky, difficile da provare in una società eteronormativa, in cui bisogna trovare posto per la rabbia, la lotta, la rivendicazione, l’orgoglio, ma restano molto meno spazio e tempo per sperimentare quella “beatitudine di essere in una rete sociale che sostiene e supporta, che vuole rappresentare e dare spazio e voce a tutte le minoranze che hanno sempre dovuto nascondersi per sopravvivere”.

Tosta eh rappresentare tutto questo!

Fortunatamente Marta è venuta in nostro aiuto con la sua arte e il lavoro di tanti anni come formatrice in scuole e aziende, facendoci scoprire non cinque, ma ben 29 sensi a nostra disposizione! Dopo aver impostato ognunə la propria carta di identità creativa, si inizia a disegnare, con o senza benda sugli occhi, la personale idea di euforia di genere. Non ci sono confini e regole, solo il sentire e i sensi che si decide di utilizzare.

Ambienti sicuri, in cui potersi rappresentare senza paura, sono ancora pochi e spesso piccoli. Ma stanno crescendo, proprio grazie al lavoro di tantə attivistə come quellə che lavorano al Padova Pride, al Progetto Tiresia e tante altre realtà di cambiamento.

Non sappiamo quando una persona autistica riceverà diagnosi e diritti in tempi appropriati, quando la società sarà più accessibile e informata, e nemmeno quando la transfobia sarà solo un fantasma da ricordare per non farlo materializzare mai più.

Ma sappiamo che con la lotta intersezionale è davvero possibile creare realtà migliori, in cui essere veramente gioiosə ed euforichə della realtà e degli spazi che attraversano i nostri corpi.

Vi aspettiamo ai prossimi eventi della Rassegna Antiabilista con il prossimo evento!

 

Articolo a cura di Francesca Pastorino, @marketing_etico (link esterno).

 

Foto delle produzioni del workshop "Disegna l'euforia"

L’arte di rinascere: dialoghi, arte e comunità per abbattere le barriere

La seconda serata della rassegna antiabilista ha offerto uno spazio di riflessione e scambio sull’intersezione di temi come transgenderità, disabilità e neurodivergenza. La serata si è sviluppata in due momenti distinti ma complementari: un talk con lə attivistə Barbie Queer, Giona Dagnese ed Elios Favaretto, seguito dalla performance artistica L’arte di rinascere, realizzata da Liam The Harpist e Nicky Daigoro.

La scelta dellə ospiti ha portato sul palco esperienze personali e collettive che hanno intrecciato attivismo, vissuti quotidiani e creatività, creando un dialogo ricco e stimolante. Dal racconto della rabbia trasformata in forza di cambiamento, all’importanza di costruire una comunità disabile coesa, fino alle questioni di accessibilità e al valore dell’euforia di genere, ogni intervento ha contribuito a mettere in discussione le barriere fisiche, culturali e sociali che troppo spesso escludono le persone marginalizzate.

La rabbia come motore di cambiamento

La rabbia è stata descritta non come un sentimento da reprimere, ma come una reazione naturale e necessaria alle ingiustizie. Alcunə ospiti hanno raccontato come, inizialmente, fosse facile accettare l’abilismo come una realtà inevitabile. Solo entrando in contatto con la comunità queer, coesa e impegnata in una lotta collettiva, hanno trovato il coraggio di mettere in discussione anche le discriminazioni legate alla disabilità.

Questa presa di coscienza ha suscitato una rabbia nuova, non più rivolta verso sé stessə, ma verso le strutture sociali oppressive. Un’emozione che, una volta riconosciuta, diventa una forza trasformativa, capace di alimentare l’attivismo e il desiderio di cambiamento.

Una comunità disabile più unita

Uno dei messaggi più potenti emersi durante la serata è stato il bisogno di riconoscere e valorizzare l’intersezionalità. Le esperienze condivise hanno mostrato come le identità di genere, sessuali, disabili e neurodivergenti si sovrappongano, creando vissuti unici e complessi. Tuttavia, queste intersezioni non devono portare a frammentazioni, ma piuttosto a un rafforzamento reciproco.

Il desiderio espresso da più ospiti è stato quello di vedere una comunità disabile forte e coesa, capace di lottare insieme per ottenere piena inclusione e riconoscimento. La frammentazione, infatti, rischia di isolare le persone, rendendole più vulnerabili alle discriminazioni. La serata ha offerto uno spunto di riflessione importante: la necessità di spazi sicuri dove le persone possano essere accolte nella loro totalità, senza dover scegliere quale parte della propria identità mostrare o nascondere.

Accessibilità: un problema sistemico anche negli spazi queer

Un altro tema centrale è stato quello dell’accessibilità, troppo spesso trascurata anche in contesti che si definiscono intersezionali. Gli interventi hanno evidenziato che molti spazi queer, pur essendo dedicati all’inclusività, non tengono conto delle esigenze specifiche delle persone disabili e neurodivergenti, escludendole di fatto dalle loro attività.

È stato sottolineato che l’accessibilità non può essere un’aggiunta successiva, ma deve essere integrata fin dall’inizio nella progettazione degli eventi. Solo coinvolgendo direttamente le persone disabili nell’organizzazione si può creare uno spazio realmente accogliente. Questo è un punto cruciale per chiunque voglia costruire comunità più inclusive: l’accessibilità non è un lusso, ma un diritto fondamentale.

Euforia di genere

Il percorso delle persone trans viene spesso rappresentato unicamente come doloroso e caratterizzato da una forte disforia di genere. Per questo, durante la serata si è deciso di mostrare anche l’altro lato della medaglia: l’euforia di genere. Il tema è stato affrontato sia tramite i racconti dellə ospiti, che hanno condiviso il momento in cui si sono finalmente riconosciutə allo specchio, sia attraverso la performance L’arte di rinascere.

In questa occasione, Liam the Harpist (link esterno) ha suonato l’arpa e Nicky Daigoro (link esterno) ha creato un live painting, esprimendo la gioia e la potenza del vedersi per chi si è realmente. La frase “Mi vedo”, emersa sia durante il talk che nella performance, è stata centrale: semplice ma profonda, ha scosso tuttɜ, ponendo al centro il tema dell’euforia di genere e l’importanza di riconoscersi per come si è veramente.

La rassegna continua nei prossimi mesi, con l’obiettivo di mantenere viva la riflessione e stimolare azioni concrete di cambiamento. Vi invitiamo a partecipare ai prossimi eventi, per arricchire insieme questo percorso di confronto, lotta e trasformazione collettiva. A presto!

Articolo a cura di Aurora Cadalino, @auropeace (link esterno).

Costruisci con noi la Rassegna Antiabilista!

La lotta intersezionale non è solo nostra, è anche tua, è di tuttə – perché questa società l’abbiamo costruita insieme. E, purtroppo, l’abbiamo creata a misura di un solo tipo di persona: quella momentaneamente non disabile e neurotipica. Ogni barriera che esiste è il frutto di una costruzione storica e collettiva che esclude una parte enorme della nostra comunità. E questa esclusione è nostra responsabilità.

Per questo abbiamo deciso di organizzare una serie di incontri per affrontare questi limiti, per mettere in discussione una società che esclude e che non riconosce i diritti delle persone disabili e/o neurodivergenti. Ogni evento della Rassegna Antiabilista non è solo un’opportunità per parlare di accessibilità, ma un atto di cura e di responsabilità condivisa. Ma tutto questo richiede tantissimi costi, che da solə non possiamo sostenere: interpretariato LIS, mezzi di trasporto accessibili, tracce audiodescrittive e molto altro. Perché l’accessibilità non è un favore, ma un diritto.

Costruisci con noi la Rassegna Antiabilista, prendi parte al cambiamento che ci riguarda tuttə. Non possiamo farlo da solə, è un impegno collettivo, una battaglia che possiamo vincere solo insieme.

Sostenendoci, non solo aiuti a creare un evento accessibile, ma diventi parte di un cambiamento necessario. Garantiamo la massima trasparenza: ogni volta che raggiungeremo un obiettivo, condivideremo qui su Instagram e su Ko-fi la foto e il pagamento per mostrarti come vengono utilizzati i fondi.

➡ Se vuoi donare per una specifica attività (es. accessibilità dei trasporti, interpretariato LIS, ecc.), vai nella sezione “commissions” dove trovi le spese dettagliate per ogni singola voce. Così puoi vedere esattamente dove vanno i tuoi soldi.

➡ Se preferisci fare una donazione generale per supportare l’intera rassegna, puoi farlo direttamente sulla pagina principale del nostro Ko-fi.

Ogni gesto (anche il più piccolo) è un passo verso una società che finalmente si misura con le necessità di tuttə, senza esclusioni. Il privilegio non è una colpa, ma decostruirlo è una responsabilità e tocca a noi.

Vai al nostro Ko-Fi (link esterno).

Canto al buio: se la cultura è per poche, è a rischio la libertà di tutte

Canto al buio: se la cultura è per poche, è a rischio la libertà di tutte

Siamo quasi a metà di una fantastica serata fatta di musica, dialogo e in-formazione queer e antiabilista.

Cristina Luciani e Maria Esposito ci hanno fatto ascoltare le loro voci potenti sulle note di A Million Dreams e Born This Way, e Grazia ha già tirato fuori tantissime domande belle toste per loro e per le altre attiviste dell’UICI Veneto (link esterno) (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti).

Ne ha appena fatta una ancora più tosta però: “Le persone della comunità LGBTQIA+ del vostro gruppo come vivono l’intersezione tra la loro identità di genere e orientamento sessuale e la disabilità visiva?”

Ed è a questo punto che Martina Andreella sgancia la bomba: “Ero una donna cis etero convintissima… Ma poi ho scoperto le donne”. No, non è questa la bomba, per quanto il passaggio da etero convinta a convivenza con la sua morosa e la loro cagnolina sia piaciuto troppo a tutta la sala!

Martina racconta che ha modo di scoprirsi in un ambiente aperto come l’università di Psicologia e di viversi con serenità, e di sentirsi per questo davvero fortunata.

Il problema però è stato il resto del mondo.

Infatti, a questo punto, sarebbe più corretto dire che la bomba l’ha lanciata sua mamma: “Disabile e lesbica? Avrai una vita durissima”.

C’è chi guarda con odio o con pena a persone come Martina e questo è sicuramente un enorme problema. Ma quando un genitore teme per la serenità di una figlia in quanto disabile e queer, risulta ancora più evidente l’urgenza di azioni rapide e concrete.

Ecco perché è natala la Rassegna Antiabilista del Padova Pride: perché escludere corpi da eventi artistici e politici, come ad esempio il Pride, significa togliere alle persone la capacità di autodeterminarsi.

Quello con cui non facciamo mai i conti, è che le minoranze e le soggettività che subiscono discriminazioni, tutte insieme, costituiscono una parte enorme della società. Persone socializzate come donne, razializzate, neurodivergenti, queer, persone povere, persone con disabilità.

Se ci arrendiamo all’idea che la cultura e la politica siano per pochi eletti (maschile sovraesteso intenzionale), cosa resta della partecipazione e della rappresentazione di chi ne ha più bisogno, di chi è già sistematicamente escluso dal “nostro” sistema capitalista?

Per questo durante gli eventi della Rassegna Antiabilista parleremo con persone direttamente interessate dall’esclusione dalla vita politica e artistica, per conoscere e divulgare buone pratiche di accessibilità per eventi offline, online e opere artistiche!

Iniziamo subito da un riassunto delle best practice per garantire l’accessibilità culturale per le persone con disabilità visiva, facendoci guidare dalle domande di Grazia e dalle idee e conoscenze delle attiviste UICI!

Se volete approfondire trovate sulle pagine Instagram @padovapride e @uici_veneto l’intera diretta (link esterno) dell’evento “Canto nel buio”!

 

 

Quali sono le best practice da adottare per rendere accessibili eventi culturali in spazi fisici?

 

Non esistono musei e mostre realmente accessibili senza un personale formato!

Una guida formata è in grado di strutturare visite ad hoc, descrizioni delle opere artistiche adeguate alle esigenze della singola persona, anche in base alle caratteristiche della specifica disabilità visiva. Ad esempio, la persona è nata cieca? Ha mai visto i colori? Quanto deve essere dettagliata la descrizione e su quali dettagli dovrebbe concentrarsi?

Spesso si fa l’errore di considerare le audioguide indicatori di accessibilità, ma:

– sono standardizzate

– è complicato trovare i numeri delle tracce corrispondenti alle opere (complice anche la frequente mancanza di una segnaletica adeguata in braille)

– non considerano modalità specifiche di fruizione delle opere.

Pensiamo ad esempio a una persona cieca dalla nascita che non ha mai visto forme e colori, ma desidera comprendere com’è fatta una scultura: la descrizione audio sarà decisamente inutile, mentre la possibilità di toccare la scultura o una sua replica, renderebbe l’esperienza decisamente più soddisfacente e su misura!

A questo proposito, ecco un reel in collaborazione tra Progetto Tiresia, Casetta Zebrina, Padova Pride e l’artista Nicky Daigoro (link esterni), che ha ideato l’opera accessibile fruibile anche da persone con disabilità visiva attraverso il tatto e presentata durante la serata!

Oltre a una guida formata, è importante avere informazioni chiare: questo può avvenire online, tramite sito e social accessibili, e fisicamente con infopoint organizzati, dove incontrare anche accompagnatorɜ disponibili in caso di bisogno.

 

E, a proposito di descrizioni, vale la pena descriversi quando si parla ad un talk, a beneficio di persone con disabilità visiva?

 

Anche qui, dipende: descrivere i colori non è di nessun interesse per persone che non ne hanno mai visto uno. Il tatto è certamente un mezzo più adeguato per conoscere esteticamente chi si ha di fronte, ma senza dimenticare l’importanza del consenso da parte delle persone con disabilità, che spesso vengono infantilizzate.

Quindi, che nessunə pensi di prendere la mano di una persona cieca o ipovedente senza consenso, perché questo è abilismo e prevaricazione, non accessibilità!

 

Un altro contesto in cui il tatto e il consenso sono fondamentali, è la musica: come si possono strutturare delle lezioni di canto e musica accessibili per persone con disabilità visiva?

 

Prima di rispondere, ci teniamo a riportare l’esperienza di Maria Esposito, fantastica cantante… Che non è stata accettata al conservatorio in quanto persona cieca.

Per mancanza di mezzi, formazione, ma principalmente per una cultura abilista che giustifica tutto questo, persino la violazione del diritto allo studio.

Quante volte lo abbiamo scritto e lo scriveremo: serve formazione. Servono consulenze, servono persone che abbiano voglia di imparare e uscire dalla propria visione abile-centrica del mondo.

Cristina Luciani, che è anche insegnante di musica e canto, dimostra che è perfettamente possibile insegnare musica a persone cieche o ipovedenti con strumenti di accessibilità assolutamente reperibili e applicabili: dagli spartiti in braille a software appositi per convertirli, fino a all’uso del tatto – anche qui, ricordandosi dell’importanza del consenso.

 

E il mondo dello sport è tanto diverso?

 

Qualche passo in più è stato fatto. Ma permane una grossa difficoltà a trovare palestre e spazi accessibili. Anche qui, la soluzione risiede in un personale formato e in un adeguamento degli spazi fisici.

E in un po’ più di dialogo: perché se da un lato è comprensibile la paura che unə iscrittə si faccia male, dall’altro solo dialogando con le persone direttamente interessate è possibile scoprire come rendere sicuro e accessibile un ambiente sportivo.

 

Tornando al mondo dell’arte e della cultura, come possiamo rendere più accessibili i libri?

 

Intanto, vediamo quali sono le soluzioni di lettura accessibile per le persone con disabilità visiva:

– libri in braille: è la modalità che più si avvicina alla lettura che conosciamo, ma al posto della vista si utilizza il tatto! Unica nota, è molto più facile impararlo fin da bambini o da giovani, proprio per l’importanza che ricopre l’uso del tatto.

– audio libri: si trovano sia su piattaforme generiche che su piattaforme ideate per persone con disabilità visiva. Il punto di forza di questa soluzione sono sicuramente le voci umane che leggono con intonazione. Tuttavia, alcune sono di doppiatorɜ professionistɜ o persone che caratterizzano in modo particolare la lettura, e se da tante persone è una caratteristica apprezzata, per altre è elemento di distrazione.

– Ebook: sono i libri in formato digitale e leggibili da sintetizzatori vocali su tutti i dispositivi.

Cosa può fare quindi lə autorə di un libro?

– assicurarsi di pubblicare la propria opera anche in formato digitale

– organizzarsi per proporre anche la versione in audiolibro.

 

Qui c’è una bella notizia! Tuttɜ noi, anche senza avere esperienza in doppiaggio o recitazione, possiamo dare il nostro contributo grazie al progetto “Libro parlato” (link esterno), che permette a persone volontarie di registrare Audiolibri gratuitamente!

 

Non solo l’accessibilità: anche la rappresentazione è spesso un problema: come si possono rappresentare al meglio le persone con disabilità visiva in film e serie tv?

 

No a supereroɜ , esempi ispirazionali, persone che solo “guarendo dalla cecità” inizieranno a vivere davvero. Qualsiasi esperienza emotiva è lecita, ma non si può generalizzare. Contrariamente a quanto si crede, non tutte le persone cieche vorrebbero vedere.

Pensiamo ad esempio a persone cieche dalla nascita, che hanno sempre vissuto senza vedere: consideriamo mai che potrebbe essere un trauma iniziare a vedere dal nulla?

Su questo consigliamo un reel (link esterno) di @_blablablind_ – Cecilia Soresina -, attivista cieca e divulgatrice.

Inoltre, è decisamente più plausibile che una persona con disabilità visiva, come qualsiasi altra, voglia sentirsi speciale in quanto brava amica, brava cantante, brava studentessa, brava professionista… Non in quanto persona disabile.

Quando vedremo una persona cieca come comparsa in un film, magari solo come passante, senza nessun ruolo particolarmente segnante? O una persona cieca protagonista che fa cose normali, o almeno non particolarmente straordinarie -se non addirittura fantasiose! – ?

La buona pratica consigliata è sempre la stessa: parlare con persone con disabilità visiva per conoscere la loro esperienza e portarla sugli schermi in modo realistico – e con attorɜ che abbiano realmente una disabilità visiva, anche se dovrebbe essere superfluo dirlo!

 

Per quanto riguarda il mondo dei social, come possiamo renderli più accessibili?

 

Immaginiamoci in questa situazione: entriamo in un’enorme stanza buia, o con colori molto sfocati e immagini confuse, ma piena di musiche e qualche volta filastrocche che si ripetono ogni tre post, ma di cui non conosciamo il contesto.

Ecco, prendendo spunto sempre dalle parole di @_blablablind_ , questi sono i social per persone con disabilità visibili quando non si pensa all’accessibilità dei contenuti che postiamo.

Cosa possiamo fare?

Ci sono sicuramente social più accessibili di altri, ma resta sempre valida l’opzione del testo alternativo quando postiamo foto o immagini con scritte – senza però perdersi in dettagli e lungaggini che spesso risultano solo noiose e portano ad abbandonare la lettura.

 

Ma alla fine, qual è la migliore best practice per rendere tutti gli eventi accessibili per persone con disabilità visive?

 

Ascoltare e collaborare.

I suggerimenti che trovate riassunti in questo articolo non avremmo mai potuto, né voluto, fornirli autonomamente. Non viviamo l’esperienza di persone cieche e ipovedenti, e conoscerne una non basta.

Ci sono associazioni, volontarɜ e attivistɜ disponibilɜ e preparatɜ per aiutare in modo pratico e specifico chiunque abbia capito l’importanza politica dell’accessibilità e voglia attivarsi concretamente. E tutto questo può già partire dalla scuola, insegnando alle persone più piccole quella “convivenza tra le differenze” di cui parla Fabrizio Acanfora e che si impara tanto facilmente da piccolɜ.

La partecipazione di persone marginalizzate a eventi culturali e politici non può essere un’opzione o una speranza, perché questa presenza – o assenza – ci dice chi ha potere di scegliere e autodeterminarsi nella nostra società.

Ci dice chi ha il potere di decidere che società vuole costruire, chi vogliamo che abbia un ruolo di potere, e chi invece può solo stare a guardare. Ci dice quanto la libertà di tuttɜ noi è in pericolo in un mondo in cui a potersi esprimere è una ristretta cerchia di persone. E allarghiamola ‘sta cerchia, anzi, leviamola proprio di mezzo va.

Vi aspettiamo ai prossimi eventi della Rassegna Antiabilista! Facciamo qualche spoiler, dai: il prossimo evento si terrà il 4 dicembre!

Parleremo con le associazioni venete che si occupano di tematiche transgender, ascolteremo un estratto di “L’ arte di rinascere”, concerto sull’euforia di genere a cura di Liam e Nicky Daigoro, e sempre con tanta musica – con l’arpa, per la precisione!  – assisteremo a uno spettacolo di live painting.

A prestissimo!

 

Articolo a cura di Francesca Pastorino, @marketing_etico (link esterno).

Foto scattata durante l'evento "Canto al buio". Sono ritratte le ospiti della serata, e la nostra mediatrice Grazia.